Memorie di un’aliena #1

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Ovvero: SCENE DA UN BALCONE

Da quando sono arrivata sul pianeta Terra ho avuto l’impressione che tutto fosse drammaticamente difficile.

Come dice quel vecchio maestro di T’ai Chi: se lo sai fare è facile, se non lo sai fare è difficile.

Ecco.

Ecco perché un alieno tende, quasi sempre, a starsene per conto suo: è più difficile, così, sgamare quanto sia impedito nelle cose banali della vita, che invece a tutti gli altri riescono come bere un bicchier d’acqua. Almeno da solo si sente meno deficiente.

Ecco anche perché, visto che purtroppo questi avatar terrestri devono ogni tanto interagire (e figuratevi poi negli anni novanta, quando internet e i social network erano davvero fantascienza), l’alieno risulta ben riconoscibile dall’ossessiva tendenza alla perfezione. Perché s’illude, il genio incompreso da se stesso, che studiando tutto lo scibile e facendo le prove a casa poi si potrà amalgamare meglio ai terrestri normali. Non possono coglierlo in fallo, no… e invece. Invece ecco che salta sistematicamente fuori quel famosissimo gruppo musicale che tutto il pianeta conosce e Com’è, solo tu? (Pork…). T’era sfuggito proprio. Povero alieno. Una vita terrestre di stress e solitudine.

Ecco che l’alieno ne fa, del non essere colto in fallo, una questione di sopravvivenza. Possibilmente da perfezionare nel proprio laboratorio di integrazione razziale casalingo, e più ricerca la perfezione, più buchini sgama, più rimane lì a prepararsi all’infinito per essere finalmente pronto al grande momento: l’inizio del pieno godimento della vita terrestre, alla maniera terrestre.

Poi un bel giorno l’alieno esce sul balcone. La giornata è bella, soleggiata, il cielo terso è tutto per lui: nessuno lo guarda, i terrestri sono abituati, lo sanno che c’è. Solo un alieno potrebbe sorprendersene e starsene lì a guardarlo.

E vede lui, il minorenne terrestre perfettamente integrato, sulla sua biciclettina blu, in precario equilibrio, ma se ne frega. Sta chino su un bianco quaderno aperto sul muretto grezzo e scrive, disegna, fa crocette e conti; fa tutto quello che l’alieno ha sempre fatto nel buio uterino della cameretta. E se ne frega. Sta lì per ore, non si sente nemmeno osservato, o magari anche sì e se ne frega.

Il sole a picco riscalda, fertilizza il pianeta e i suoi inquilini, fa luce sulle righe e i quadretti; e l’aria è condizionata dal venticello di inizio aprile.

E l’alieno pensa a quante volte ha odiato quella scrivania su cui, invece che studiare, ha fatto la guerra ai buchini ignoranti, con tanto di kalashnikov, bombe a mano e trick e track. Finchè la bandiera bianca di un attacco di panico non arrivava a risolvere e complicare tutto.

E il ragazzino se ne sta lì, la placidità terrestre incarnata, col sole a fargli da abat-jour sulla scrivania di malta e chianche.

E’ la prima volta, da quando sono arrivata, che comincio a intuire perché diavolo mi abbiano mandata proprio qui.

8 risposte a "Memorie di un’aliena #1"

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