L’insostenibile inutilità del (non!) Lieto Fine

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Il Lieto Fine inquietante

[Allerta: post invettivo ai danni dei tragifinisti e relativi supporters. Deboli di cuore out]

Lieto Fine.

Allora, parliamone. Intanto iniziare un post con “allora” so bene che non è buona educazione letteraria, ma tanto sono una nonscrittrice, e quindi chissenefrega. Le regole del Galateo letterario, qui, me le faccio io. Oh! [E così dicendo si tirò su le maniche e puntò i pugni sui fianchi…]

Dicevo: allora. Allora vogliamo parlare una buona volta dell’indiscutibile utilità del lieto fine? E dell’insostenibile inutilità di quello non lieto? UNA BUONA VOLTA?

Vogliamo discutere della necessità, di necessità, imprescindibile del lieto fine?

Di quei cinque minuti buoni (e non i risicati cinque secondi come in La ricerca della felicità, capito Muccino maior??!!) in cui tu, maledetto essere creativo (che tu sia sceneggiatore, regista, scrittore o che cavolo vuoi non ha importanza), hai il sacrosanto dovere di farmi riprendere, dopo tutti i precedenti minuti di inenarrabili sofferenze, patimenti, tribolazioni, pene, tormenti, infelicità, strazianti inquietudini e sangue vero o presunto a gogò?

Vogliamo reclamare, una buona volta, i diritti dello spettatore/lettore, che poveraccio sta lì a penare insieme a quell’altro poveraccio sulla pellicola/pagina, fino all’inevitabile finale sui generis?

Pensi che sia figo trucidare alla fine il protagonista/personaggio che mi hai fatto adorare? Pensi che la mia vita trascorrerà meglio, adesso che ho affrontato il dolore della perdita virtuale, con buona pace della catarsi?

Te lo dico io: no!

Non migliora manco per sbaglio.

E non mi catartizza neanche di striscio.

Chè, sappilo: la vita è già abbastanza tragica e difficile e faticosa di suo. Se ti ci metti pure tu, con la geniale trovata che “non-vuole-essere-banale”, siamo alla frutta. Anzi, all’ammazzacaffè.

Metti una giornata grigia, che piove, e nessuno ti si fila, e tu stai lì, incollato alle pagine o allo schermo, che stai a correre o saltare o schivare pallottole o la clava o navi spaziali, o a risolvere chissà quale enigma esistenziale insieme a lui/lei; e lui/lei muore. Ti tagli le vene!

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Lieto e Fine alternativo

Ora, non ci piove che, in una storia verosimile che si rispetti, qualcuno ogni tanto deve morire, senza necessariamente resuscitare. Come diceva Orson Welles, “Se volete un lieto fine, questo dipende, naturalmente, da dove interrompete la vostra storia”.  E amen.

Però. Diciamo che tu artista genio creativo dovresti riconoscere quella sottile linea rossa tra lecito e non lecito; tra comprensibile e incomprensibile; tra necessario e non necessario. In poche parole, tra utile e inutile. Quindi dovresti sapere quando l’ammazzatina creativa, o la condanna ad infelicità imperitura, è artisticamente necessaria: e io, spettatore/lettore, me ne farò una ragione e farò un corso accelerato di comprensione e tolleranza. Perché magari nutro sconfinato e dannato amore per te.

Esempio pratico

(allerta spoiler: seguono titoli di finali tragici comprensibili e tollerabili, dopo attenta rielaborazione del lutto/odio per l’autore; se non volete anticipazioni saltate le prossime tre righe)

Tutti i film di Almodovar e Ozpetec; L’eleganza del riccio; L’idiota; Il velo dipinto; Il braccio d’argento; Shogun; La macchia umana; Lady Oscar; Amleto; Notre-Dame de Paris; La sirenetta di Andersen; per citarne alcuni, di tollerabili. E non aggiungo altro.

Però. Se tu mi crei un disgraziato fine apposta perché quelli lieti erano già finiti, e la tua mente creativa si mette in testa di fare il geniale exploit che nessuno s’aspetta, e che farà venire a tutti uno shock anafilattico post-traumatico, io te lo devo dire: che sei un caXXXne!!!!

Ho l’autorizzazione tangibile e legale a mandarti in quel Paese piccolo e buio, the dark side of the moon in cui oggettivamente non batte il sole.

Io i finali tragici li tollero.

Quelli inutilmente tragici no.

E pretenderei anzi un rimborso del biglietto del cinema/costo del libro.

Vuoi sapere, genio creativo del male, a che cosa serve un lieto fine quando è naturale che debba esserci? Serve a farti sperare, in quel famoso giorno grigio di pioggia, che il sole si è ricordato di alzarsi, solo ha un po’ i postumi della sera prima; che come dicevano i Pooh in quell’orribile canzone, il cielo è blu sopra le nuvole; che c’è speranza anche per gli sfigati, alieni, disgraziati reietti, miserabili (persino a Jean Valjean gli hanno dato il lieto fine!), sciagurati che alle prime pagine/scene non gli avresti dato manco un capitolo/storyboard di sopravvivenza. Serve a questo. A ricordarci che, nel vaso, Pandora (e non a caso è il nome di un ben noto pianeta) ci ha lasciato la speranza.

Capito, genio?

La speranza.

Ricapitolando: io ti capisco, intendiamoci. Lo so che magari Lui ti ha rotto le biglie con cui giocano i pulcini nel tuo cervello, Lui quel protagonista che hai amato così tanto da arrivare ad odiarlo. Lo capisco che vuoi esorcizzare la paura della morte; che sei stato traumatizzato da piccolo dall’impermanenza e la sfiga, che sennò non diventavi di certo artista. Che mi vuoi insegnare che la vita non è tutta rose e fiori ma si va avanti lo stesso (come se da sola, la vita, non ce lo rammentasse quotidianamente abbastanza).

Però. Però ricordati di noi, ogni tanto. Ricordati di questi poveri disgraziati ignoranti che leggono/visionano perché una vita sola da sola non basta, soprattutto una come la nostra; ricordati delle speranze e le aspettative mica tanto velate che non possiamo concretizzare in questa realtà aliena da noi.

Non ti chiedo un finale commerciale. Solo uno giusto.

Proprio giusto, oggettivamente giusto.

O, se proprio non ne puoi fare a meno, almeno uno alternativo, che poi lo scelgo io quello che mi piace.

Perché sennò, allora ci sentiremmo tutti a autorizzati a diventare Kathy Bates in Misery non deve morire, e sarebbero problemi tuoi…

Oppure mi vendico sui personaggi, e salto dall’altra parte. Ma sì! Che il delirio divino di onnipotenza di vita e di morte si impossessi di me e ne faccia una mattanza! Sì, mi vendico e levo pure io di mezzo i protagonisti del mio libro; anzi, quasi quasi, l’idea mi piace. Un bel finale alla Dynasty e chi s’è visto s’è visto.

Mi vendico di tutte le ore di angoscia e i pianti non necessari che mi hai fatto penare, sadico masochista che non sei altro. Tu e tutta la troupe tua, che non ti ha fermato dallo scempio, casa editrice, editors, produttori, attori, macchinisti, trucco e parrucco compresi.

Che tanto nel finale dei finali, sai che c’è? Che non c’è niente di nuovo od originale, alla fine. Non c’è niente di più banale e prevedibile della morte sul pianeta Terra. Anzi: è semmai il lieto fine, se proprio la vogliamo dire tutta, la cosa meno scontata di questo mondo.

Oh! L’ho detto.

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E se pure la Regina Cattiva può sperare in un lieto fine, allora… (vedi: la teoria della relatività del lieto fine in Once upon a time)

8 risposte a "L’insostenibile inutilità del (non!) Lieto Fine"

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