
“Io non credo nell’amore

che non ha l’irruenza delle rivoluzioni,
che non frantuma tutti i muri,
che non si abbatte come un uragano.
Oh… se il tuo amore mi inghiottisse,
se mi sradicasse… come gli uragani.”
Da Scegli, Nizar Qabbani (trad. di Nabil Salameh e Silvia Moresi). Se volete il libro lo trovate qui. (Consiglio spassionato: compratelo, fatevelo regalare, rubatelo, fatevelo prestare, fate un po’ voi.. e poi leggetelo. Per forza. A me in tasca non me ne viene niente. Ma a voi tanta bellezza di sicuro arriva. E Dio solo sa se ce n’è bisogno per riequilibrare questo mondo!)
Facciamocene una ragione. Gli alieni finiscono sempre e invariabilmente per attrarre situazioni aliene. (Punto 20 del vademecum per riconoscere gli alieni)
In luoghi alieni.
Casualmente ubicati dietro l’angolo, ma invisibili agli occhi. Come l’Essenziale.
Succede, quindi, che lasciandosi semplicemente guidare dalle circostanze e dal sentire ( D: “Che fai vieni?”; R: “Ma sì!”), trovino casa. Senza necessariamente il telefono in mezzo.
E succede che in un paesino sperduto del Salento, che in fatto di paesini sperduti è ricco da ipoteticamente venderne (e tra un po’ succederà davvero), si trovi una casa, e in questa casa molto più della stanza promessa dal titolo della serata: la stanza di Dio. La stanza dei vuoti ricavati nei pieni intorno, con gli alberi a far da pilastro, le stelle da tetto, l’erba da pavimento e gli scoiattoli nel muro a secco da animali domestici.
Una stanza dove se appena lasci andare le urbane, quotidiane, assordanti tensioni, ti ritrovi, appunto, a casa. Pur non conoscendo nessuno, neppure (soprattutto) te stesso.
Una stanza-vecchio giardino che in fondo, agli occhi di un alieno, non sembra nemmeno né vecchio, né giardino, ma un salotto dell’anima. E, a tratti, una chiesa per la fede del sentire.
Lì nel salotto sull’erba ci sono le sedute, perfette e straordinarie nel loro sentore bohémien, balle di fieno ri-vestite a festa, sedie liberty in metallo per sognare di giardini di altri tempi, casse dalla solidità resa soffice all’uopo da un’imbottitura di circostanza. E poi l’altare, su bianche chianche che sapevano, anni fa, di dover essere calcate apposta dalla musica e la poesia, col faretto-raggio divino che scende dall’alto, abbarbicato ad un ramo (al che ti chiedi: ma come cappero hanno fatto a ficcarlo lì?).
E poi arrivano i sacerdoti.
E non è per l’umidità che scendono i brividi.
E arriva lo sconosciuto che ridiventa conosciuto, perché ricordato, già sentito, da qualche parte, in qualche epoca. Con qualche altro corpo.
Arrivano le sonorità arabe che ti rendi conto esser davvero sorelle, cugine del nostro stare qui, in Puglia. Non a caso. Casa. Arrivano le parole di un sentire che non ha tempo, non ha età e no, non può avere nazionalità. Arrivano emozioni inaspettate, uragani da cui ti lasci sradicare volentieri, perché sei tu: sono il tuo uragano, quel che non sapevi, ma all’improvviso ricordi di essere. Arrivano ritmi sui quali volentieri vorresti alzarti in piedi e ballare, scandalizzando i turisti inglesi ingessati e i contemplatori statici. Ritmi sui quali in qualche modo devi aver già ballato. Li conosci nel codice genetico. Nel sangue. Come si fa a restare immobili quando l’oud proclama e il battito percussivo risponde, ricordandoti che hai un cuore, un ritmo che ti scorre libero nelle vene?
Si resiste, sventando lo scandalo.
Ma quando Nabil Bey è lì a un passo, e vorresti dirgli quanto sacro era stato quel momento, quanto lui e gli altri artisti avessero dato a tutti noi, adepti rapiti, ringraziarlo di tanta grazia e bellezza… il tuo solito sentirti alieno (che in tal caso equivale a scemo) conclude che non hai niente di intelligente da dirgli. Quindi lo ringrazi col pensiero, ad intelligente (?????) e debita distanza.
Portandoti a casa, e nel cuore, la gratitudine per la bellezza che, ebbene sì, esiste davvero.
Forse forse qualche motivo per farci un giro di giostra su questa Terra noi alieni ce l’abbiamo.
E la Puglia non è per niente un caso. Volete mettere una notte di magie arabeggianti salentine nel Porto di Marte? Me la potevo mai perdere io?
Ps. Grazie, quindi, in ordine a
Gli amici a sorpresa che regalano sorprese
Leila Polimeno e Aricelle Speziali (organizzazione no profit) che hanno reso possibile l’evento”Una stanza nella casa della luna”
Nabil Bey, Adolfo La Volpe e Pippo Ark D’Ambrosio che con “Al Majaz” ci hanno fatto sognare
Alle poesie di Nizar Qabbani e Adonis che ci hanno fatto viaggiare nel sogno.
PPs. Ma tanto si sa. Senza nulla togliere a Nabil Bey e compagni, noi alieni viaggiamo facile 😉
PPPs. Ma solo a me viene da dire “Aricelle SPAZIALI” invece che “Speziali”?? (laconica risposta autonoma solitaria: sì)

Posso dire che ho letto spaziali?? Vabbè che sono un po’ dislessica però ci stava bene 🙂
Bellissime emozioni mia cara!
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Lo sapevo che non potevo essere l’unica!!! ahahah
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aricelle speziali gioca con navicelle spaziali, perché siamo anche noi alieni atterrati in quel giardino a cercare la ricetta perfetta
Grazie Angela
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Non avevo dubbi Leila 😉
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…1 alieno salentino ora qui fa capolino @ 1 saluto voglio fare ad 1 blog assai speciale @ Leila di notte sei atterrata la ricetta perfetta l’hai poi trovata ??? 😉
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Non ho capito… Ma va bene lo stesso 😂👍
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