
Ho sempre subito il fascino delle donne cazzute.
Cioè, in senso platonico, si capisce.
(Dopo una brevissima fase lesbo liceale non ho mai più subito il fascino di una donna in senso stretto, sia chiaro).
Per intenderci, quando nel gruppo/la stanza c’è una donna cazzuta, io sento l’insopprimibile desiderio di mettermi accanto a lei. Di osservarla. Respirarne l’aura in qualche modo. L’ammiro, la studio… mi nutro della sua energia.

E c’è questo da dire: sono sempre stata molto energeticamente malleabile. Influenzabile, se così si può dire. Nel senso che mi lasciavo facilmente influenzare da una forte atmosfera, energia di gruppo… per capirci: se fossi stata in un gruppo circense, senza nemmeno pormi il problema, mi sarei sentita all’istante una trapezista in erba. Se fossi stata in un gruppo di depressi, sarei stata la campionessa di xanax dell’anno.
Ecco, anni di bioenergetica mi hanno aiutata a capire chi fossi davvero, a difendere e fortificare l’Io sono, e blablabla. Ma, come dice la mia conduttrice di classi preferita, “I vizi sono solo virtù degenerate”. E allora. E allora, posso decidere da chi lasciarmi influenzare. Per esempio dalle donne cazzute.
Ed ecco che, come per magia, anzi per osmosi, il cazzutismo passa da pelle a pelle, da poro a poro… tira fuori la cazzuta che è in me e, talvolta, fa fatica a uscire. Non so dire perché una donna così poco femminile, spesso, aggressiva e indomita susciti oggi più ammirazione di una svenevole. Voglio dire: è vero, fa fico. Ma diciamola tutta: si tratta di una femmina maschio. Una maschia. Una indubbiamente più yang che yin, con tutti gli annessi e connessi.

Oggi, checché se ne dica, le donne dai fragili nervi che svenivano per un’emozione eccessiva, per poi rianimarsi con sali e rosolio, non sono più di moda. Le donne maschie invece sì. Sarà per caso perché, per uno strano fenomeno antropologico omeostatico, i maschi si sono femminilizzati?
Ecco, fare la maschia mi è sempre piaciuto. Specie per mettere i maschi nel sacco. Sarà per questo che adoro le donne cazzute? O forse per non averne paura. Dei maschi. Ma anche delle donne cazzute: meglio essere una di loro, che contro di loro. No?
Fare la maschia ti fa illudere di non avere paura, appunto. Ti fa affrontare le cose, tutte le cose, anche quelle maledettamente toste e difficili; non è poi così male, dopo tutto. Direi anzi che questo rientra tra i vantaggi della faccenda.

Se penso a una donna cazzuta per antonomasia… mi viene in mente Anna Magnani. E poi mia nonna. Cioè un misto di Anna Magnani e mia nonna. Che sarebbe parecchio difficile, perché somaticamente non si somigliavano per niente… ma una cosa tipo: come se Anna Magnani fosse stata mia nonna, ecco. Una di quelle femmine con l’acciaio nelle ossa anziché i sali di calcio e fosfato; quelle femmine capaci di fare le cose quando gli altri piangono e si fanno prendere dal panico; quelle femmine che, tutto il mondo crolla, ma io vado avanti; quelle femmine che tirano su quintalate di famiglia senza mai deprecare la vita o il destino.
Che poi Anna Magnani forse era per davvero più d’acciaio di mia nonna. Voglio dire, mia nonna non piangeva mai; rare volte l’ho vista piangere, ma non sembrava neppure piangere davvero. Era forte in un modo fragile, che è venuto fuori quando alla fine s’è spezzata. Cadde a terra, lavando i piatti: un classico dei classici, la fine della guerriera domestica. In ospedale mi ricordo la sua espressione: voleva essere ancora tosta, sprezzante, cinica e beffarda… ma si tradì. Si tradì. Le scoprii in volto il terrore, l’ansia per qualcosa di nuovo che non sapeva come sarebbe andato. E che infatti andò come andò poi.
Anna Magnani non era così. Non era di cera. Era di carne e sangue. Non le rimbalzavano

le cose: lei le viveva nelle viscere, e con le viscere te le mostrava. Anna Magnani soffriva da cani, e non si curava di nasconderlo o dissimularlo il dolore. E quando c’era da ridere, rideva di cuore, e se invece c’era da piangere piangeva a singulti. Ma quando c’era da tirare avanti la carretta, da assestare la mazzata dialettica buona al tipo che se la meritava, quando c’era da puntare i pugni sui fianchi, Anna Magnani lo faceva, e lo faceva naturale.
Non è che io aspiri a non piangere come mia nonna, per poi tradirmi in punto di morte. E nemmeno voglio diventare maschia tipo Sarah Connor per ammazzare Terminator. Diciamo che mi accontenterei di imparare a puntare i pugni sui fianchi al momento giusto, e che mi venga naturale, come ad Anna Magnani. Perché se c’è da piangere, bisogna piangere, e se c’è da ridere, bisogna ridere. Ma imparare a tirare la carretta, senza lamentarmi nè pretendere che lo faccia qualcun altro al posto mio, e ad assestare la mazzata dialettica buona al tipo che se la merita, senza temere le conseguenze, specie il disamore… ecco trovo che queste siano lezioni importanti. Quelle arretrate.

E però… però confesso che ultimamente la lezione credevo di averla imparata bene. Ma poi mi è venuto il dubbio. Che il vero cazzutismo, quello autentico, forse non l’ho ancora trovato nemmeno nelle donne cazzute.
Credevo, ad esempio, che fosse cazzuto e sacrosanto urlare la mia rabbia e le mie ragioni in un telefono a LUI, ammalato di evanescenza, torredavorismo e di autopsico-pseudocomunicazione, anche detta telepatia inefficace (è quel comune disturbo per cui si è convintissimi di comunicare con l’altro, mentre lo si fa solo e unicamente nel proprio cervello… con se stessi). Ma non ero sincera; era solo paura di essere debole. Non dovevo mostrarmi debole. E tutto ciò che ho ottenuto è stato allontanarlo, allontanare il pericolo di debolezza, e non ascoltarlo. Forse le mie ragioni erano giuste, ma che te ne fai di ragioni giuste quando le urli in faccia con la paura di mostrarti debole? Forse il vero cazzuto è stato lui, quando calmo e placido come un lago è venuto in mio soccorso appena l’ho chiamato, e con lo sguardo finalmente lucido e presente mi ha sorriso negli occhi, una specie di padre amorevole che perdona le sciocche marachelle della pecora maculata di casa. Mi ha sorriso negli occhi “Devi imparare la pazienza”.
L’ho odiato profondamente.
E finalmente ho capito. Il vero cazzutismo non è la faccia di cera di mia nonna, e nemmeno i pugni sui fianchi di Anna Magnani. Ché sono tutta scena. Una vita a cercare di imparare, e non avevo imparato un cazzo. Il vero cazzutismo è la forza di accettare le cose che non puoi cambiare, il coraggio di cambiare quelle che puoi, e la saggezza per distinguere le une dalle altre.
In una parola: crescere. Con pazienza.
