Non ho molti pregi. Ma uno di quelli che mi pregio da sempre di avere è un ottimo intuito, e non è un merito mio particolare: ci si nasce, credo. O magari è una di quelle cose che sviluppi per meglio sopravvivere in questa giungla: sì, credo sia più plausibile. L’intuito di vedere in trasparenza cose e persone, leggerle con uno sguardo diagonale e sintetico: l’intuito di cogliere, a volte, la realtà delle cose. La ragione, se vogliamo, nelle cose. Non sono sempre così attenta e capace di ascoltarlo questo intuito, sullo sfondo del rumore quotidiano e dei condizionamenti emotivi, mentali e sociali, sia chiaro. Ma quando ci riesco: capperi, ci becco sempre. Solo che non gli do il giusto credito. Mi spiego meglio.
Non credo di avere ragione qualcosa come nove volte virgola nove periodico su dieci. Che non vuol dire che non abbia ragione.
Vuol dire, esattamente, che non mi fido del mio giudizio. Non sono capace di difenderlo.
Il guaio sapete qual è? Come dicevo: che ci becco, purtroppo. Cioè: nove volte virgola nove periodico su dieci, invece, il mio cosiddetto infallibile giudizio, o sesto senso, o intuito o comediavolovogliamochiamarlo a posteriori si conferma infallibile. Solo che io trovo ancora difficoltà a dargli credito.
Questo principalmente perché, fin da quando ero molto piccola, questo infallibile intuito si è sempre trovato dalla parte sbagliata dell’arena: quella in minoranza. Anzi, in solitanza, proprio. E, si sa, la ragione spesso gode e si glorifica di consenso. Ma essendo una contro enne parti dall’altra parte dell’arena, quel consenso è spesso mancato, e di conseguenza anche la ragione.
Ma lo ribadisco: ero io a non dargli credito per prima.
Non che uno se ne faccia poi chissà cosa della ragione. Ma a volte serve. A volte chiarisce la dinamica delle cose, delle parti, ristabilisce equilibri di potere.
Una delle conseguenze di questa faccenda, del sentire intimamente di avere ragione mentre tutti gli altri intorno vanno da tutt’altra parte (TUTTI), è che mi sono sempre sentita “pazza”. Insomma, le cose erano due: o ero pazza io e tutti gli altri avevano ragione, oppure erano pazzi loro, e io l’unica a vedere in trasparenza la realtà delle cose. Democraticamente inverosimile, capirete bene.
Pazza. Un aggettivo sostantivato con cui mi sono identificata spesso. Pazza. Mi è stato detto quei due o tre miliardi di volte, anche, a conferma che forse era vero: per una volta, forse, concordavo con l’opinione generale.
Stai male, incazzata, cercando di far valere le tue ragioni? – Sei pazza. Non c’è nulla che non va. Sei tu che non vai, perché: sei pazza. E anche ingrata: apprezza di più quel che ti abbiamo dato, che è molto più di quel che meritavi. Pazza.
Ti ritrovi in un gruppo di perdigiorno senza la minima bussola o direzione nella vita? – Sei pazza e pretenziosa. Che pretese hai? Che cosa vuoi? Cerca di aggiustare la tua di vita e non romperci i co… siddetti attributi.
Routine di sabati sera e cene con gara di lamentela perenne e frustrazione per dessert? – Va tutto bene… oppure sei pazza. Sei pazza: se non ti va bene sei tu che sei anormale. Insomma, che cosa ti aspetti da una vita normale? Che cosa vuoi?
Segui un percorso di studi a ostacoli, seguendo una strada alternativa che battono in pochissimi… – Pazza! Come ti viene di uscire dal seminato? Dovresti laurearti e basta, studia dalla dannate dispense, prendi quel cazzo di trenta e sistemati nel più vicino ospedale, ringraziando dio che ti garantisce un posto fisso; sposati, figlia e programma la vacanza al mare: questa è la vita. Che cosa vuoi di più? Pazza.
Ecco. Te lo senti ripetere talmente tante volte che la voce non la senti più coi padiglioni di fuori, la senti da dentro, cominci a dirtelo da sola: sono pazza. Devo essere pazza. Altrimenti non si spiega. Non si spiega perché non mi va bene, non mi sta bene. E sono solo io a vederlo.
Una volta al liceo accadde un episodio esemplare, che avrebbe dovuto insegnarmi qualcosa (ma ormai avrete capito quanto sia refrattaria a imparare questo genere di lezioni): era l’ultimo anno, si faceva la prova della terza prova degli esami di Stato , un test a crocette su varie materie. Essendo una prova, come prescritto dai migliori manuali del professore modello, il prof di guardia seppe assentarsi il giusto tempo necessario a fare l’assemblea di classe per risolvere in gruppo i quesiti, secondo democratica discussione ed alzata di mano. Ecco, ci fu quella domanda di storia dell’arte che non era perfettamente chiara, e ci fece scimunire tipo un’ora sulle possibili risposte; tutti i cervelloni da primo banco, al termine della discussione, concordavano su una certa risposta, e il codazzo di braccia rubate anzitempo all’agricoltura ovviamente non avrebbe obiettato alcunché. L’unica che ebbe da obiettare fui io: non mi tornava quella risposta; non mi pareva quella giusta. Ero più propensa per un’altra, quella che però non si filava proprio nessuno. Noooooooo, la risposta giusta è quella che abbiamo deciso noi, ripetevano in coro. Ecco che il copione tra i più frequenti della mia vita si ripeteva per l’ennesima volta: tutti concordi sulla ragione, e io l’unica pazza a pensarla diversamente. Ero lì, con la penna tra le dita, che giochicchiavo tra un quadratino e l’altro: hanno ragione loro o io? Io o loro? Quella volta, eccezionalmente nella storia, decisi di scommettere: non avevo nulla da perdere in fondo, non era un vero test. Solo una prova. Al massimo avrei preso nove e mezzo al posto di dieci. E sapete come andò? Andò che qualche settimana dopo quando il prof rientrò con le prove esaminate, l’unica in tutta la classe a prendere il voto pieno fui io: io avevo avuto ragione, e tutti gli altri, capoccioni e braccia rubate all’agricoltura, torto. Ricordo bene la sensazione, e gli sguardi addosso degli altri, metà invidiosi, metà allibiti. La pazza aveva avuto ragione. O meglio: aveva avuto coraggio. Perché sì: difendere la tua ragione richiede coraggio.
Devi arrivare a trentaquattro anni, fallire un quasi matrimonio, e ricostruire tutto da zero per tirare fuori quel coraggio, per arrivare a capire che quella follia forse è stata la tua salvezza. Il non sapermi adeguare alla loro follia è stata la mia salvezza, e anche se mi è costato, dio quanto mi è costato, sono felice di aver saldato il conto. Perché adesso che comincio a comprendere e ad apprezzare la mia follia… sì, credo che il bello venga proprio adesso.
Non credo sia importante “avere” ragione, quindi. Non mi conviene cercarla, né cercare il consenso: ché, assodato quanto detto finora, un consenso di pazzi ben adeguati alla follia generale dilagante a che cappero ti serve? No, non voglio avere ragione. Tanto la verità non è un fatto logico razionale, è una sensazione.
La sensazione che ebbi quella volta, la prima volta, in Toscana; che lì c’era qualcuno che aveva davvero ragione. Più ragione di me! Qualcuno abbastanza folle da avere davvero ragione, senza cercarne il consenso: non hai bisogno di cercare consenso quando sai, intimamente profondamente senti, di avere ragione. Quando sei nella verità, insomma: l’annusai, quella volta. Il mio infallibile intuito ebbe ragione e grazie a Dio ebbi il coraggio di dargli credito.
Del resto, la verità, come dice il buon Lincoln, alla lunga si mostra da sola. Se sei davvero folle alla lunga lo dimostri. Se hai davvero ragione, se hai avuto la fiducia di crederci in quella sensazione e di perseverarvi, si mostrerà da sé senza alcuno sforzo.
Di questo solo prego il mio dio personale, perciò: di poter avere sempre smisurato coraggio e cieca fede in questa sana follia, senza più la minima vergogna o paura di sentirmi pazza.
anche io sono un tipo piuttosto intuitivo. il mio intuito sbaglia raramente sulle persone. diciamo che, visto che la stragrande maggioranza della gente è molto banale, su loro il mio intuito non sbaglia mai. può invece esser tratto in inganno quando incontra qualcosa di inconsueto, che non conosce a sufficienza. credo che anche per te sia così. ci sono state delle volte in cui ero al limite del baratro e stavo per cadere. il mio intuito mi ha detto di fare il contrario di quello che mi diceva la ragione. l’ho fatto e mi sono salvato…
anche io spesso sto dalla parte della minoranza. d’altronde oggi come oggi è più facile aver torto che ragione, stando nella maggioranza. mi sento un po’ un profeta che vede la facilissima verità, mentre gli altri hanno il velo di maia sugli occhi. un profeta a cui nessuno dà retta. per questo io so di avere ragione ma non ci faccio un fico secco, e sono condannato a osservare come le cose andranno in malora esattamente come dicevo io, nonostante gli avvertimenti, perché gli altri non hanno voluto saperne.
non vorrei trarti in inganno con la storia del profeta… non sono io che mi sento migliore degli altri. sono gli altri che sono troppo presi dalla loro idiozia, che si condannano da soli a esser tali.
d’altronde io sono anarchico, gli altri solitamente no.
da qui so che ti si potrebbe aprire tutto un preconcetto sul tema “anarchia” che, statisticamente parlando, probabilmente non corrisponderà a quello che penso io. però confido sulla tua pazzia, anzi che la nostra pazzia ci renda abbastanza simili da essere amici.
😉
PS: e quei famosi libri? come è finita la storia?
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🙂 Quel che penso io è molto relativo. Diciamo che uno dei punti salienti del post è la mia pregressa incapacità, spesso, di dare peso e fiducia (potremmo dire dignità) alle mie sensazioni, chiamiamole la mia “verità”. Questo spesso mi ha fatto sentire realmente “pazza”, essendo in contraddizione ciò che avvertivo con ciò che mi si voleva far passare per buono; e non avendo la fiducia/forza/il coraggio di difendere la mia verità. Questo, grazie a Dio, in passato. Ma sì, è una condizione più diffusa di quel che pensassi, il che mi fa sentire spesso molto meno sola di quanto mi sia mai sentita quando ero più piccola. In fondo, come amo dire spesso, siamo tutti uguali alla radice. Alla radice, abbiamo tutti gli stessi demoni e questo ci accomuna, ci avvicina e in qualche modo ci rende “fratelli” in un certo senso.
Ps. la stora dei famosi libri non è ancora iniziata 😀 ma ho buone speranze che il 2019 sia un anno propizio 😉
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tempo fa avevo una mia amica aspirante scrittrice (come me) con cui per un paio di volte ci scambiammo il favore di correggere le bozze del libro dell’altro fornendo anche un giudizio franco su come l’avevamo trovato. la cosa andò bene ed entrambi ne traemmo degli indubbi vantaggi. poi lei si perse, scomparve, e oggi neppure fa più la scrittrice…
se un giorno ti sentissi di fare questa cosa con me, ne sarei felice. sarebbe anche un incentivo a pubblicarlo sul serio il libro.
bye
🙂
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Lo terrò in conto 😉
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