Mobedì

Un Mobedì Hacking al Boschetto Zaccheo, agli esordi del movimento.

Mobedì. Movimento per la Bellezza Diffusa.

Mobedì è un giorno della settimana, forse. O una balena azzurra, anziché bianca, e benigna anzichènò. Che poi, Moby Dick non era nè benigna nè maligna: era il risultato speculare della rabbia sorda e l’odio cieco di Acab. Nè più nè meno.

E proprio per questo l’abbiamo scelto come simbolo del nostro movimento: la natura è come la tratti. Come ti tratti: benigna, se ti vuoi bene, maligna, se ti vuoi male.

Correva l’anno 2016. Dovevano abbattere alberi lungo la ferrovia e io mi spezzai dentro, come se avessero tagliato me al posto loro: cercammo di fermare lo scempio, ma non ci fu verso. A che servono quegli alberi? Ci chiesero beffardi quando andavamo in giro a raccogliere firme. Da quella domanda che mi lasciò scioccata nacque l’omonimo post che scrissi, uno dei miei preferiti in effetti, e anche dei vostri, stando alle statistiche del blog.

Già allora avevo l’idea di Mobedì in testa, ma ero troppo debole, troppo rintanata per imbarcarmi in questa cosa.

Poi, a gennaio di quest’anno, uscii. Chi attracca qui, sul porto di Marte, conosce ormai le mie devianze aliene, e sa che è molto difficile per me uscire di casa in alcuni periodi. In quei periodi ci sono poche cose che mi curano, e una di queste sono gli alberi, la mia amata campagna.

Adoro esplorarla a piedi, in determinate ore. Ovviamente da sola. Non ho paura quando sono sola, nella mia campagna. Conosco l’autodifesa, mi alleno tutti i giorni e ho anche gli strumenti per qualunque circostanza (mi porto sempre un cacciavite in borsa chenonsisamai – Bricolangela è uno dei miei soprannomi). Le querce sono i miei alberi preferiti. Loro mi guariscono più di qualunque altro farmaco o mossa bioenergetica, nei momenti più acuti e problematici. Una quercia è una garanzia di forza, resilienza, attesa che viene premiata. Così, quando sto male da cani, cerco le mie querce, loro mi ascoltano in silenzio; ascoltano i miei piagnistei, pazienti, indulgenti e benigne come una mamma che conosce a memoria i suoi polli. Una quercia ti ricorda che a volte il vento infuria come un tornado, una tempesta che sembra sbatterti di qua e di là, senza pietà per i tuoi ramoscelli, come si fa coi polpi appena pescati, per arricciarli sugli scogli; ma se hai radici ben radicate e forti, se il tuo tronco è stabile ed eretto, nessuna tempesta potrà veramente abbatterti. Ecco, quando sento che la tempesta minaccia di sopraffarmi, cerco le mie querce per ricordarmi quella forza che non sento di avere, quella pazienza che non mi appartiene. Le querce mi insegnano, stando lì davanti ai miei occhi e ai miei palmi, la loro forza. Allora mi calmo, respiro, ritrovo il mio baricentro. Il mio radicamento.

Sento di aver avuto molto dai miei alberi in questi anni. Per questo quando a gennaio sono uscita, dopo mesi che non lo facevo, e ho trovato sotto una delle mie querce preferite amianto e rifiuti di ogni tipo… non ci ho visto più. Ho fatto foto e il giorno dopo mi sono violentata di nuovo e sono uscita apposta, con l’aiuto del mio ex compagno, per andare a fare un esposto al Comune e alla Polizia Municipale. Non servì a molto, ma mi riaccese una fiammella dentro: dovevo combattere per i miei alberi. Dovevo restituire loro qualcosa per tutto ciò che mi avevano dato.

Così pochi mesi dopo è nato Mobedì: siamo un movimento, un’aggregazione spontanea di volontari di Turi. Lottiamo per riportare bellezza laddove è stata dimenticata. Alla base della nostra filosofia c’è la “teoria delle finestre rotte” di Philip Zimbardo: Zimbardo negli anni 60′ fece un esperimento mettendo due auto in due quartieri diversi. Una nel Bronx, e fu fatta fuori in poche ore, e una a Palo Alto, posto per ricconi dabbene, che restò intonsa. Poi ruppe un vetro a quella di Palo Alto e, magia: anche quella fu distrutta in poche ore.La conclusione cui giunse Zimbardo era che il degrado invita ad ulteriore maltrattamento, nei luoghi come nelle persone. Se non ti rispetti, se non ti curi tu di te, perché dovrebbero gli altri? Un luogo abbandonato, come una persona, invita ad essere ulteriormente maltrattato, ed è un posto dove non si vive bene, non si è incentivati ad aprire gli occhi, ad essere felici, a voler restarci. Per questo Mobedì vuole curare la bellezza come valore di rispetto e cura: per migliorare la qualità di vita di noi, che ci viviamo in questo posto.

Per me non è una questione di volontariato, e nemmeno sociale: è una questione di cuore. I miei alberi sono miei fratelli, sono me. La loro bellezza mi ha aiutato, mi ha salvato tante volte. Perché la bellezza fa questo: salva le persone. In un mondo a volte orribile, cinico, e condannato come il nostro, quelle isole di bellezza sono il granello di luce che contrasta le tenebre. Il singolo motivo per cui valga la pena non mollare e continuare a lottare. Continuare a vivere, quando non ti sembra che ci siano altre ragioni sufficienti. Abbiamo una pagina Facebook, e in pochi mesi è già diventata seguitissima; cominciamo a farci sentire in paese, ad avere l’attenzione di istituzioni e cittadini, e attività che cominciano a sponsorizzarci. L’altra sera sono stata dagli scout a farmi conoscere, a parlare del nostro progetto.

Puliremo le strade delle campagne, pianteremo fiori al posto dei rifiuti, costringeremo il Comune a trovare i fondi per le bonifiche da amianto, e diffonderemo bellezza.

Perché la bellezza, come gli alberi, serve: quando non hai voglia di tenere gli occhi aperti, vivere in un bel posto (che sia camera tua, o la tua campagna non fa differenza), fare in modo che lo sia e lo resti nel tempo, è un modo di prenderti cura di te. Di riappropriarti della tua dignità. E ridare dignità ad esseri immensi che non hanno braccia o gambe per difendersi da soli, ma radici forti per ricordarci di mantenere la schiena dritta: i nostri alberi. I miei amici.

Mobedì Facebook Page.https://www.facebook.com/mobedi2/


Una delle Ecopasseggiate di Mobedì con alcuni della squadra col nostro ashtag #questanonèunadiscarica

6 risposte a "Mobedì"

  1. in questo mondo purtroppo si è costretti a urlare per farsi ascoltare. sennò ti calpestano senza pietà.
    dovrete lottare molto per ottenere qualcosa. dovrete rompere le OO
    ecco uno di quei casi in cui è molto utile far parte di un gruppo, che ti sostiene nei momenti di abbattimento e si impegna nelle stesse battaglie che ti stanno a cuore.
    forza!
    🙂

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