Eric

È da un po’ che non si sente parlare di personaggini e personaggioni nel porto di Marte, nevvero? Rimediamo subito con un personaggione di calibro, per così dire, che troviamo già in Veritate, ma invero… conosciamo molto meglio in Iustitia, il secondo volume della saga che non è una sagra (ma chissà potrebbe diventarlo…). Eric. Stronzo per costituzione, drammaticamente infelice e solo, inaffidabile, immaturo, svolge una professione non ben specificata ma dai contorni intuibili… sembrerebbe a caccia di turner, e possiamo presumere che sarà una caccia fruttuosa… ma non è questo il punto. Non so perché, ma mi piace particolarmente scrivere i personaggi maschili, specie raccontandoli in modo non esattamente convenzionale. Ad esempio, Eric sembrerebbe in un modo… ma come tutti gli uomini nasconde quella fragilità che è il loro lato che, diciamolo, ci frega.

Ecco un po’ di pagine di Iustitia, e nel caso non dovessimo sentirci prima… Buon Natale 😉

Era su un aereo di linea e il comandante stava comunicando ai passeggeri che erano le 8.30 di mattina del cinque gennaio del ventitreesimo anno della Confederazione, e di lì a poco sarebbero atterrati. Si stiracchiò e osservò il paesaggio dal finestrino.

La grande montagna piatta, il simbolo di Cape Town, svettava al centro della città, circondata dall’abitato e dalle coste di cui aveva sentito magnifiche storie. Era così eccitato: Feldt non avrebbe potuto affidargli missione più azzeccata in un momento più opportuno di quello… aveva decisamente bisogno di staccare la spina. Di staccare da Ithaca. Di staccare da… tutto il resto.

Erano diventati così lunghi, così inquieti, uguali e inconcludenti i giorni; non capitava una sola volta al giorno che si chiedesse cosa diavolo era diventata la sua vita, e se era davvero quella che avrebbe voluto vivere per il resto dei suoi giorni. Ma quella missione cambiava tutto.

Sulla scaletta squillò il cellulare.

– Pronto? –

– E’ arrivato? –

Sapeva sempre tutto quello là. Probabilmente aveva cronometrato il volo, oppure gli aveva appioppato qualcuno alle costole. Più probabile.

– Sì, capo –

Si voltò per controllare i passeggeri alle sue spalle.

– Appena adesso –

– Questo numero dovrà usarlo solo per motivi di eccezionale rilevanza o gravità; i rapporti, brevi e concisi, dovrà farli a Clifford una volta alla settimana. Non escludo che possano volercene diverse, ma veda di non farci crescere troppo la barba nel frattempo. Nella sua nuova identità manterrà il suo nome di battesimo, per ogni evenienza; nel file che le ho allegato troverà i dettagli e confido che abbia approfittato del volo per studiarseli già… –

– Per buona parte del volo – sorrise Eric – A proposito, senta: perché il cane? Non ne ho mai avuto uno in vita mia… –

– I nostri profilers sostengono che il possesso di un animale domestico, specie di taglia piccola, dispone positivamente i turner e i membri dei clan in particolare: pare che li associno ad una buona capacità relazionale. E li dispone meglio nell’apertura e l’attribuzione di fiducia. Sembrerebbe che gli animali compensino le loro rigidità emotive… li dispongono bene, insomma –

– Uhm – fece Eric che ignorava che i turner potessero ben disporsi solo per via di un cane. Tuttavia il suo profilo lo richiedeva, e se avesse cominciato a far il difficile a meno di ventiquattr’ore da quando aveva rimesso piede sulla Terra, quei pignoli sarebbero stati capaci di richiamarlo su a razzo. E non ci teneva proprio a tornare.

– D’accordo. Appena esco di qui vado a procurarmene uno –

– Lo scelga di suo gusto. Se ha domande o altro questo è il momento buono per farne, altrimenti ci risentiamo tra una settimana –

Eric rifletté bene, mentre aspettava il suo bagaglio vicino al nastro trasportatore.

– In effetti sì. Questa Marbelle Seurat… il rapporto non diceva perché esattamente dovrei tenerla d’occhio. Si tratta di far saltare il clan, arrestarla, o cosa? –

– O cosa, Agente Moser – s’udì la voce di Feldt sorridere all’altro capo della linea – Il da farsi si deciderà in seguito. Ora deve solo ambientarsi e stabilire un contatto. Stia attento: non devo certo ricordarle io di cosa sono capaci i turner –

– No, certo –

Soprattutto perché lo era anche lui. Ma quel figlio di una buona donna di Feldt non lo sapeva, e probabilmente non l’avrebbe mai saputo. Nessuna delle sue amanti, tra cui la stessa segretaria di Feldt, lo aveva mai saputo. Neppure… altre persone.

Fuori dall’aeroporto l’investì un’accecante luce dorata e calda come non gli capitava da anni. La Terra… che magnifica sensazione poter aprire le braccia e sentirsi attraversare da autentica aria, respirare a pieni polmoni, col sole, il vero sole, a riscaldare il volto… più che riscaldare, quel sole minacciava di bruciare, però.

Aveva dimenticato la reale sensazione dell’estate dell’emisfero australe. E Cape Town gli era del tutto nuova… ma la prima impressione gli parve già positiva.

Fermò un taxi e si fece portare nel più vicino negozio di animali.

– E’ nuovo di CT? – gli fece quello.

– Eh? Cosa ha detto? –

– Le ho chiesto se è nuovo di qui… di CT –

– Per CT intende… Cape Town? –

– E io che ho detto? – si spazientì quello.

Prese a fargli poi un panegirico su quanto era bella la città, e le spiagge, e la gente, nonostante quei cani dei turner; del costo della vita e delle case; dell’aria, il mare, la montagna… la Grande Montagna; e i parchi, il verde, il cibo… insomma, se non si fosse deciso a dire anche lui qualcosa di entusiastico probabilmente la sua improvvisata guida turistica si sarebbe rifiutata di portarlo a destinazione. Tuttavia il tizio fu molto gentile, e tutto sommato anche simpatico. Lo aspettò fuori dal negozio.

Un cane. Taglia piccola. Sembrava facile… ma con tutte quelle paia di occhi e lingue salivanti penzoloni, come faceva a scegliere? E chissà per quanto tempo avrebbe dovuto conviverci.

– Senta – chiese alla commessa – Mi dia una mano… vorrei un cane, di taglia piccola, che non dia fastidio, non abbai, non la faccia in giro e richieda il minimo di manutenzione possibile… –

– Mh – annuì la commessa – Il negozio di giocattoli e peluche è qui all’angolo –

Eric dovette fissarla per due secondi buoni prima di capire che lo stava prendendo in giro. La carenza di sonno, nonostante il pedigree, faceva strani scherzi.

– Siete simpatici voi di… com’è che dite? CT?

– Lei è nuovo – constatò la commessa, squadrandolo.

– Appena sbarcato sì. Vuol darmela questa mano, per favore? –

– Senta, chiquito, non so perché diavolo lo voglia un cane, se non deve fare il cane, ma come diciamo noi “CT accoglie tutti”, buoni, stronzi, cattivi… e dopo un po’, forse più buoni e meno cattivi no, ma di sicuro li fa tutti un po’ meno stronzi. Quindi la mano gliela do, ma… il cane è una questione di cuore, chiquito. Vi dovete scegliere a vicenda… è come un colpo di fulmine: appena lo vede, e lui la vede, lo sa che deve essere quello, e nessun altro. Anche se c’è già un altro cane di mezzo. Mi spiego? –

– Più o meno. A dir il vero non ci ho mai creduto al colpo di fulmine – rise Eric.

– Vediamo che si può fare… questi sono dei meticci, e in generale hanno un buon temperamento. Il bassotto è anche stato castrato –

Eric fissò il bassotto con una fitta al cuore: l’idea di avere un castrato in giro per casa per qualche ragione non lo metteva di buon umore.

Poi, in mezzo a tutti quei peli e a quell’abbaiare, la vide: due occhietti neri sotto una frangetta grigia e una lingua assetata di pelle da leccare. Se ne stava piccola, col suo battito accelerato canino e silenzioso; sembrava esser lì in attesa. Come se gli stesse dicendo “Ti sei deciso, finalmente, razza di bipede glabro e dal QI discutibile”.

– Quello… – lo indicò alla commessa – Che ne dice di quello? –

La ragazza fissò il cane, poi Eric e sorrise sorniona.

– Che le dico io? Che mi dice lei. Io dico che l’ha scelto. Che come può vedere i colpi di fulmine esistono eccome. E le dico anche che è una lei, che ha sei mesi e non è sterilizzata. Vuole sterilizzarla? –

– Scherza? Non ci penso nemmeno. Quant’è? –

Caricata la cagnolina col suo trasportino in macchina, salutò la cassiera e ripartì alla volta dell’agenzia immobiliare.

– Benvenuto a CT! – lo salutò con la mano la commessa.

– Carino l’amichetto – apprezzò l’autista – Come si chiama? –

– L’amichetta – lo corresse Eric – È femmina. E… non lo so. Non me l’ha detto, la commessa –

– Allora deve darle un nome. È proprio una bella signorina –

– Ha ragione. E anche bene educata: se ne sta lì tutta composta… Sa che le dico? La chiamerò Missy –

– Mh, non male –

– Senta un po’: che significa “chiquito”? –

Il tassista soffocò una risata.

– Lei non è pratico di spagnolo, vero? –

– Mi manca giusto quella, di lingua –

– Beh, le converrà far un corso accelerato. CT è piena di sudamericani; lo spagnolo si può dire quasi che sia il dialetto locale –

– Lo terrò presente –

Prese le chiavi dell’appartamento che gli era stato procurato su ad Ithaca dall’Agenzia, e indirizzò il taxi all’ultima tappa della mattina: una doccia e un letto come si deve.

Farsi una traversata Ithaca – Terra, e poi un volo Delhi – Cape Town di filato, col fuso orario impazzito e lo stomaco in subbuglio, una nuova identità da “imparare” e un cane da comprare… non era uno scherzo.

Appena ebbe aperto la porta gli si stampò sulla faccia un sorriso da un orecchio all’altro. Che bene aveva fatto all’Agenzia per meritarsi quel ben di Dio? Era un attico in piena regola, ad angolo, peraltro, e nella zona più viva e nuova di CT… doveva abituarsi anche lui a chiamarla così.

E che vista… un intero terrazzo, pieno di piante con sistema di auto-irrigazione integrato, girava intorno partendo dalla cucina, situata a destra del corridoio d’ingresso, al soggiorno e alla camera da letto, a sinistra. Non era enorme, ma era pieno di luce, moderno, confortevole… proprio quel che piaceva a lui. C’era persino un camino in soggiorno. Meglio di così…

Dette uno sguardo in cucina. Sul piano di lavoro in bella vista c’era la foto di un’utilitaria ultimo modello grigia con le chiavi accanto. Una “Quarry”, modello Agente in missione. Feldt era un maledetto maniaco ossessivo, ma a volte si rivelava maledettamente utile proprio per questo: aveva pensato a tutto, persino a riempirgli il frigo e la dispensa. Persino con una scatola di cibo per cani.

– Guarda Missy! Festeggiamo la casa nuova! – scosse la scatola a mo’ di maracas mentre apriva il trasportino e, come ipotizzato in negozio, la cagnolina si precipitò sulla sua faccia. Ricoprendo ogni centimetro quadro di saliva canina.

– Sapevo che sarebbe successo – borbottò allontanando la palla di pelo di peso.

Sperando quindi che i croccantini le avrebbero bloccato le ghiandole salivari almeno per un po’ le riempì la ciotola, ovviamente lì in cucina, con una montagna enorme di quella roba. E notò un’altra ciotola. Forse volevano che prendesse un secondo cane? Si chiese. Che assurdità! Era per l’acqua…

Poi decise di saggiare il divano. E constatò che era arci-comodissimo.

– Ah… Feldt! Che Dio ti benedica… col cazzo che ci torno ad Ithaca –

Ma Missy, anziché ingozzarsi, lo fissava con quegli occhi strappacuore e la lingua penzoloni. E muoveva la coda come un tergicristalli in piena tempesta. Eric sospirò.

– Guarda che io non ci so fare con gli animali. Nemmeno con quelli a due zampe. Figuriamoci con i tappetti pelosi e bavosi come te… E va bene. Vieni qui –

Missy appena vide la mano agitarsi si precipitò sul divano con lui. Poi si mise sul dorso, con la lingua di fuori e la pancia esposta, ed Eric scoppiò a ridere fino a farsi venire le lacrime agli occhi. Da quand’era che non rideva così? Prese a solleticarle la pancia e da allora in poi non si chiese più se tenere un cane sarebbe stato un problema.

Passeggiare insieme al parco o lungo la Beach Road di Mouille Point diventò subito un gioco simpatico e divertente; e trovare qualcuno dietro la porta che non aspetta altro che slinguazzarti le mani e la faccia, una prospettiva più attraente di quanto avesse immaginato. Missy rivelava una triste verità: che per quante persone, e donne, ci fossero sempre state nella sua vita, era sempre stata tremendamente un deserto di affettività.

– E se ci vuole un cane per riempirlo, stai messo proprio male, amico – si disse.

Cinque giorni dopo, ormai insediatosi nello studio legale in cui avrebbe impersonato Eric Warren, giovane avvocato rampante appena trasferitosi da Delhi, di ritorno a casa squillò il cellulare e un numero criptato di Ithaca comparve sul display. Sorrise.

– Brutto stronzo impenitente – lo accolse Jonathan, che lo fissava con finta invidia nello schermo – Tu vai in vacanza, e hanno il coraggio di chiamarlo lavoro! Stipendiato da straordinario, pure! –

– Senti chi parla… me ne sono andato apposta, per lasciarti il campo libero –

– A chi la racconti? Allora sei la prova vivente che farsi la segretaria di Feldt serva a qualcosa… –

– Che stronzo che sei – rise Eric – Non la vedo da settimane –

– E tu sei un bugiardo da oscar. Dì un po’, hai già messo gli occhi su qualcuna? Come sono le capetoniane? –

– Discrete… non è che abbia visto molto ancora. Sono qui solo da tre giorni… e poi è una faccenda di turner, insomma! Se rischio la pelle è giusto che mi paghino gli straordinari! Ma di che ti lamenti, poi? Li pagheranno anche a te, no? Chi pensi che ti abbia raccomandato come mio coordinatore in questa missione? –

– Guarda che non mi incanti – rise Jonathan – Tu mi hai voluto come coordinatore solo per tuo tornaconto personale… so già che dovrò coprire qualche tua marachella. È la mia specialità… da quanto? Venticinque anni? –

– Le tue lamentele sono noiose. Non ho nemmeno uno straccio di amico con cui andare a bere –

– Come se un turner potesse bere chissà cosa… ma ho il sospetto che troverai presto qualche bellezza locale abbastanza sensibile da muoversi a compassione per il tuo caso disperato. Io, piuttosto, che cosa farò queste sere senza te qui da prendere per il culo? –

– Potresti andare a consolare Felicia. Sareste un’ottima coppia – rise Eric, con una punta d’amarezza.

– Sul serio, amico, come stanno andando le cose? –

– Le cose vanno come previsto. Cape Town è il parco giochi che mi avevano raccontato, le spiagge sono da paura, la gente è semplicemente uno spasso, e la casa… Dio, non mi sono mai sentito così a casa in una casa. Sarà perché c’è Missy… –

– Chi? –

– Missy! – la raccolse in braccio mostrandogliela, cercando di evitare che gli raspasse tutta la faccia – Fa parte del profilo. Dicono che metterà di buon umore i turner nei miei confronti… –

– Non ci posso credere – rise Jonathan – Bene… sono contento di vederti bene. Bugia: ti sto odiando a morte. Hai già agganciato il bersaglio? –

– Negativo. Ci penserò da domani… l’aspetterò all’uscita dal posto di facciata in cui lavora, e l’abborderò con un abbordaggio dei miei –

– Pensi che sia prudente agganciarla in modo diretto? Non potresti pedinarla un po’ e poi… –

– Stai scherzando? Guarda che don Sebastian Pintera qui è una celebrità del mondo sommerso, e uno che non perdona; i latini sanno essere parecchio fantasiosi quando vogliono torturare qualcuno, e tengono sott’occhio i loro membri come fossero diamanti in un caveau. Se si accorgessero che pedino la Seurat, mi ammazzerebbero prima di riuscire a dire “bang”. Se sono fortunato. E se non lo sono… dicono che da queste parti i pezzi dei nemici del mondo sommerso vengano pescati a scaglioni nella baia, dopo un po’ che stanno lì a marinare… –

– Capito – mormorò Jonathan – Dopo tutto, in effetti, non posso dire di invidiarti poi tanto. Lo sai che Feldt non vuole che ci sentiamo troppo spesso, vero? –

– Una volta a settimana, sì lo so. Non mi mancherai affatto, brutto ceffo lagnoso che non sei altro –

– Neanche tu, brutto stronzo impenitente. Stammi bene –

Fu strano chiudere la chiamata. L’unico vero contatto umano era a chilometri di distanza dalla Terra.

Si affacciò sul terrazzo; uno struggente tramonto da brividi stava dando fuoco alla baia. E non c’era nessuno con cui condividerlo. Nessuno a cui sarebbe importato quanto quello spettacolo gli stesse spaccando il cuore. Se anche ci fosse stato, sarebbe stata una bella scopata e nient’altro. Forse neanche bella. E di certo non in grado di ascoltare, di capire, di interessarsi. “Come se tu avessi mai ascoltato, capito o ti fossi interessato a qualcun altro che non sia tu stesso” fu il corollario amaro.

Missy lo fissò con quel suo sguardo che faceva passare ogni sorta di malumore e la grattò dietro l’orecchio, ma prima che cominciasse a spanciarsi per le coccole, le agganciò al collare il guinzaglio e la fece trotterellare, più gioiosa che mai, fuori di lì.

Aveva già notato che, per quanto fosse tranquilla, silenziosa ed educatissima, al limite del normale per essere un cane, quando incrociavano un esemplare di bipede femmina cominciava a dar di matto, abbaiando e saltando come un’ossessa. Lo faceva con la vicina di casa, che non era nemmeno una gran bellezza, e piuttosto in là con gli anni, con la cassiera del negozio sotto casa, con chiunque avesse due ovaie, insomma. All’inizio Eric non aveva capito, e se n’era sorpreso parecchio. Poi l’aveva trovata una cosa, tutto sommato, buffa, come tutto il resto di Missy.

Era troppo inquieto; aveva bisogno di distrarsi. Quindi perché rimandare a domani quel che poteva distrarre dal malumore oggi? Perché non cogliere due piccioni con una fava?

Mise Missy sul sedile passeggero: era talmente buona e composta che non aveva bisogno del trasportino per quelle cose. Dopo un po’ che erano partiti la vide arrampicarsi sul finestrino e schiacciare il suo musetto umido contro il vetro. La codina faceva il tergicristalli. Doveva anche essere intelligente: aveva capito che non stava facendo la strada degli altri giorni, e abbaiò al suo indirizzo una volta sola.

– No, Missy. Oggi niente mare, cambiamo posto –

Missy abbaiò di nuovo.

– Lo so che ti piace, piace un sacco anche a me andare al mare. Quello vero. Ma dobbiamo lavorare e guadagnarci la pagnotta… se mi dai una mano, domani ti porto al mare e al parco in una volta sola –

Parve andarle bene, perché di lì in poi si rimise giù composta e silenziosamente slinguazzante, come suo solito.

Il supermercato era in una delle aree periferiche dell’interno, colonizzate dagli immigrati vent’anni prima. Sudamericani, europei, slavi, nordamericani… ce n’era per tutti i gusti. Ci era abituato al meltin pot delle periferie: dov’era cresciuto, a Melbourne, era lo stesso. Come in qualunque altra città dei Territori Terrestri Liberi. Lui e Jonathan avevano preso parte a una banda di strada una volta, alle elementari, e vi avevano rimediato tante di quelle sassate che sua zia l’aveva messo in punizione per un’estate intera. Un martirio.

– Jonathan non è come te! A lui le ferite sanguinano, e le ossa si spezzano per davvero! –

Tutto perché era un maledetto turner. L’aveva forse chiesto lui di esserlo? Drago d’argento, per giunta? E poi, quella stronzata che le sue ferite non sanguinavano e le ossa non si spezzavano gli dava davvero sui nervi; sanguinavano e si spezzavano eccome. Certo, tornavano a posto in fretta, ma il male cane lo sentiva lo stesso. A sua zia non andava particolarmente a genio quella faccenda del turner, ma per amore della famiglia, e del fatto che fosse il suo unico parente rimasto in vita, era stata costretta a farsene una ragione. Aveva compiuto dodici anni quando, a sorpresa, lei l’aveva condotto dal suo primo vero maestro turner. Il Maestro. Colui del quale nessuno mai pronunciava il nome, per timore e rispetto reverenziale…

Il supermercato era più anonimo e depresso di quanto si fosse aspettato, ma, stando all’indirizzo, doveva proprio essere quello. Aprì il cruscotto e stette a guardare la Smith & Wesson per un po’. Sarebbe stata davvero necessaria? E se invece fosse più prudente non portarsi nulla? Dopotutto, sapeva difendersi e uccidere benissimo anche a mani nude. Richiuse lo sportellino e Missy lo fisso con aria interrogativa.

– Non ti faranno del male, promesso. Se ci provano, sono tutti morti –

Le agganciò il guinzaglio e la trasse fuori di lì. 

Stando alla tabella degli orari che era nel fascicolo della Seurat, doveva essere di turno. Poteva fingere di aver bisogno di comprare i croccantini per Missy, o di una qualche altra amenità canina.

Decise quindi di far prima un giro ai giardinetti sul retro del complesso, e poi far una puntatina all’interno dell’esercizio commerciale. Si dette uno sguardo intorno e percepì una certa cauta tensione persino in Missy, all’estremità del guinzaglio. La liberò, ma lei non si allontanò molto dal suo piede. E non poteva darle torto.

Utilitarie di almeno un decennio prima, e malandate; giacche di seconda mano; case dall’intonaco fatiscente e i colori spenti; persino gli alberi sembravano crescere meno e peggio che altrove. E ciliegina sulla torta: facce da galera con le mani ficcate nei bomber, in piena estate: buoni solo a proteggere le armi dal sole. Era l’altra faccia del dopoguerra: l’anticamera della schiavitù o della morte. Chi sopravviveva all’una o all’altra, doveva necessariamente avere una buona mano con le lame affilate, e non certo per sfilettare merluzzi.

Missy guaì e lo fissò implorante. Sembrava voler dire “Perché devo farla proprio qui, quando c’è un paradiso terrestre giusto qualche chilometro più in là?”.

– Hai ragione, piccola. Ce ne andiamo presto, promesso… –

Fu distratto da un rumore di lamiere e schiamazzi di un battibecco acceso. Si sporse dall’albero dietro cui si era nascosto con Missy: una ragazza con una divisa sembrava piuttosto alterata nei confronti di un tipo pesto che doveva aver visto giorni migliori, a giudicare dalla testa fasciata e il braccio steccato appeso al collo. – I patti sono patti, maledizione! – gli puntava un indice contro quella.

– Ma non è colpa mia! Che ne potevamo sapere che quella iena aveva i denti a sciabola! –

– Le tigri hanno i denti a sciabola, ignorante! Vattene, sparisci! Giuro che ti farò una pubblicità talmente pessima che non lavorerai mai più finché campi! –

L’altro se ne andò con le orecchie basse, e la tipa menò un tale calcio ai bidoni che se la videro davvero brutta. Missy abbaiò forte allora in segno di protesta ed attrasse l’attenzione della signorina poco socievole.

La ragazza notò Eric e lui, facendo finta di passare lì per caso, invitò Missy con una gentile pedata al suo batuffoloso posteriore a fare il suo dovere di cane.

– E dammi una mano, no? So sempre ricompensare a dovere i miei collaboratori –

La ragazza nel frattempo si era accesa una sigaretta e studiava la strana coppia, svogliatamente appoggiata al muro. Emetteva pigre nuvolette di fumo incuriosite.

Finalmente Missy si decise a marcare il territorio e a rincorrere tardive lucertole serotine, quando la sigaretta giunse al termine e finì il suo ciclo vitale tra l’asfalto e la suola delle scarpe della signorina. La vide venirgli incontro, e si predispose a mostrarsi più gnorri possibile. In quel momento, Missy arrivò di gran carriera e prese ad abbaiarle contro in modo furioso. Prima, però, che alla donna venisse in mente di giocare a calcio con la palla di pelo per vedere quanto lontano riusciva a spedirla in orbita, Eric l’afferrò per la collottola e provò a trattenerla in braccio.

– Buona, tu! Missy! Buona! –

Si stava calando un po’ troppo nel ruolo, in effetti.

– Non ci faccia caso… fa così con tutte – disse all’indirizzo di Marbelle Seurat.

Eh sì, non c’erano dubbi: a parte che corrispondeva perfettamente alla foto di cui era corredato il fascicolo, aveva anche una bella targhetta appuntata sul petto con su scritto “M. Seurat”.

– Con tutte? – rise Marbelle.

– Sì. È gelosa. Del sesso femminile in generale –

– Ah. Quindi non dev’essere facile per la sua fidanzata, aver a che fare con lei –

– Non sarà facile quando ne avrò una, di sicuro –

– Se non fosse per il cane, non lo crederei mica che non ce l’ha una fidanzata –

Neanche cinque minuti e già flirtava con lui? O quei profilers della malora avevano dannatamente ragione sulla faccenda dei cani, oppure Marbelle Seurat era più disponibile di quel che la sua professione imponesse. Oppure, altra possibilità, il discreto fascino dello stronzo in trasferta colpiva ancora, come avrebbe concluso Jonathan se fosse stato presente. “Beh, spero proprio che non voglia dire che la vacanza finirà troppo presto… se l’avessi saputo, avrei aspettato un mese prima di venire qui, accidenti”.

Missy prese a ringhiare, il che la rese ancor più buffa del solito.

Eric decise quindi di uscirsene con un modesto sorriso finto timido arrossito, che sulle donne faceva sempre un certo effetto.

– Lei non è di qui –

Ma si vedeva così tanto, per la miseria?

– Ehm, no. Sono da poco a Cape Town –

– Si vede. A un tipo ben vestito come lei, se fosse di qui, non verrebbe mai in mente di portare il cane fuori da queste parti… –

Urgeva una spiegazione efficace.

– Sì, in effetti mi trovo un po’ fuori mano… dovevo incontrare un cliente in zona, e giacchè Missy doveva fare il suo girino, ho pensato di unire l’utile al dilettevole –

– Capisco. Organizzato e premuroso – sorrise Marbelle – Così è a CT da poco –

– Sì. Per lavoro… sono avvocato in uno studio legale di qui –

– E le piace? CT intendo –

– Quel che ho visto finora sì –

– Dovrebbe chiedere ai suoi amici di mostrargliela perbene –

– Ehm… non ho ancora avuto il tempo di farmene, qui, di amici –

– Beh, se non le sembro sfacciata, potrei farle vedere qualcosa di interessante… –

– Perché no? La trovo una buona idea –

– Se non ha impegni per la serata, potremmo anche cominciare da stasera –

– Nessun impegno –

– Allora… oh, accidenti! – esclamò lei – Deve scusarmi, avevo dimenticato di avere un impegno giusto stasera… ma tra due giorni ho una festa. Se la cosa non la imbarazza, potremmo andarci insieme… è in una zona molto bella, anche se forse un po’ dimessa… sarebbe l’ideale per iniziare il tour –

– Se lo dice lei… –

Fu così che si scambiarono i numeri di telefono e i connotati.

Non riuscì a trattenersi, e mandò un messaggio anche a Jonathan, riassumendogli sinteticamente che aveva già avviato l’aggancio del bersaglio, e gli era sopra. Al che Jonathan volle sapere se era sul bersaglio solo metaforicamente, lui lo mandò a quel paese, e Jonathan ricambiò, avendo anche cura di ricordargli che da allora in poi non dovevano comunicare così spesso. Ma che ciò non voleva dire tenerlo all’oscuro dei dettagli importanti. “Quelli piccanti, cioè” precisò poco dopo.

Studiò di nuovo il fascicolo della Seurat. Niente di degno di nota; niente che neppure lasciasse intendere che fosse un turner. I clan di quel livello erano maniacali in fatto di sicurezza e controllo dei propri membri. Si chiese, infatti, come e da chi avessero avuto l’informazione che lei fosse un turner. Se lo era davvero. Poteva esserci stato un errore al riguardo? Si prese un appunto sul suo notebook vocale, e si ripromise di far presente a John i suoi dubbi al prossimo rapporto.

Era carina; niente di che, ma carina. Certo, se le cose andavano come pensava sarebbero andate, date le premesse, non sarebbe stato difficile farle un test con un piccolo tampone acuminato oppure altri espedienti, tipo spine di rosa o cose così… Per qualche ragione, però, l’idea di andarci a letto non l’entusiasmava particolarmente. A dire il vero, neanche uscirci insieme l’entusiasmava. Lo sguardo lascivo, eccessivamente diretto e disponibile, i modi un po’… un po’ troppo da turner. Non voleva dire “rozzi”, ma era quel che gli veniva in mente; e non c’entrava con l’essere turner in effetti. No. C’era qualcosa di obliquo, di doppio in quella ragazza; e avendo lui ricevuto una signora istruzione turner, checché ne dicesse l’opinione pubblica dell’epoca, questo non c’entrava con l’essere turner. Non nel significato originario del termine.

Tuttavia, che Marbelle Seurat gli piacesse o no, era il suo bersaglio, e doveva eseguire degli ordini: tenerla d’occhio per l’Agenzia. Le indicazioni di Feldt a riguardo erano state talmente vaghe da risultare quasi irritanti: doveva spiarla? Capire chi erano i suoi contatti? Scoprire qualcosa di più preciso sulla sua vita o il suo clan?

Bah. Avrebbe proceduto come al solito, ad istinto.

Una cosa era certa. Erano anni che non stava completamente solo da qualche parte. Anzi, era la prima volta in assoluto. E la cosa era… desolante. Certo, dava anche un senso di vertigine, di libertà quasi assoluta. Ma rivelava una sensazione che, scopriva ogni giorno di più, in realtà l’aveva sempre accompagnato in sordina. Ora capiva il bisogno quasi spasmodico di compagnia; di conquistarne un’altra. Di carpire qualcosa che non riusciva mai ad afferrare. “Sei patetico, amico. E solo. È il caso di dire come un cane. O forse dovrei dire “con” un cane?” rise guardando la notte fonda e impazzita di luci e clacson di Cape Town dal suo terrazzino extralusso, con Missy che dormiva ronfando appena sulle sue gambe.

Il discreto fascino slinguazzante di Missy.

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7 risposte a "Eric"

  1. Ah, ma è stronzo o no questo Eric? No perché io penso che se uno può voler bene sinceramente a un cane, evidentemente non è poi così stronzo. Dunque o non è stronzo oppure… non è capace di voler bene al cane, per quanto possa sembrare il contrario…

    La storia parla di una specie di futuro alla Asimov?
    Quanto è lunga l’originale? Quanto ci hai messo a scriverla? E quanto tempo fa l’hai scritta?

    Infine segnalo un piccolo errore, solo perché mi è saltato all’occhio e perché curiosamente anche io ho usato questo termine recentemente. Non sono un pedante. Nei miei blog puoi trovarne a bizzeffe di errori molto più sanguinosi (difatti penso, leggo, scrivo e parlo in maniere differenti, forse sono un po’ dislessico, e in certi casi posso facilmente incorrere in errore, ma a te questo non interessa…)

    (dal vocabolario Treccani)
    maraca s. f., spagn. [prob. da una voce guaranì]. – Strumento musicale di origine sudamericana, formato da una zucca vuota o da una sfera cava di legno contenente semi secchi o sassolini, che viene impugnata per un manico e scossa ritmicamente; se ne usano in genere due insieme, una per mano, per cui è più usata la forma del plur. maracas.

    PS: auguri, Angela. 🙂

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    1. 😂 Grazie per il ripiglio su “maracas” anche se al plurale suona meglio di maraca.
      Beh, come tutti gli stronzi, è un po’ stronzo e un po’ no. Ma il cane non è che voglia dire chissà cosa, al contrario: mettere in gioco la propria emotività con un animale è facile. È coi propri simili che è difficile. È per questo che per Eric è più semplice avere un cane che rapporti veri con le persone 😉
      Buon Natale anche a te 😁🎅

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