
Una volta avevo un gatto. Cioè io e Lui (il mio ex lui) avevamo un gatto. O, più precisamente, il gatto aveva noi. Si chiamava Micia, mi soffiò come un monsone la prima volta che assistette a una nostra effusione di coppia, e mi rovinò tutti i jeans che avevo affilandoci le unghie sopra quando veniva in braccio al momento film.
Perché lei capiva quando c’era un film. Capiva anche la differenza tra riso venere e banale riso bianco. E capiva quando avevi capperi tuoi per la testa trascurandola: te la faceva pagare con un cinismo pauroso. Poi si ammalò: non aveva mai avuto micini, e le venne un tumore alle mammelle. Avete mai sentito i lamenti strazianti di una gatta in calore che non si accoppia mai? Una cosa da strizzare le viscere, giuro. Vorresti andare a cercare la prima coda maschia in giro per farle provare il brivido dell’accoppiamento animale. Ma lei se n’è andata senza provarlo quel brivido. Fu un momento indelebile: era notte fonda, Lui era fuori di senno e incapace di intendere e di volere, e io dovetti farmi spuntare gli attributi che ho sempre supposto di non avere e organizzare tutto. Chiamai il veterinario, mi assunsi la responsabilità della decisione di quell’iniezione, e stetti lì, con lei, avvolgendola nella sua copertina, fino alla fine.
Oggi mi sono ricordata di Micia leggendo il post di un amico. E’ facile voler bene a un gatto. E’ facile farsi voler bene da un gatto. Il difficile è riuscire ad ammettere che riversiamo sugli animali tutte le paure, i bisogni e l’affetto che non abbiamo il coraggio di mettere in gioco tra noi umani.
Quel che segue è uno scritto di un mio vecchio blog, 2011.
Non ho mai pensato di tenere un gatto. E se anche l’avessi fatto, ammetto candidamente che non ho mai pensato a come sia, davvero, tenere un gatto.
Non ho mai considerato il fatto che, se tieni un gatto, devi dividere il tuo guardaroba in “da gatto” e “da evitar il gatto”, salvo poi renderti conto che quei peluzzi grigi-bianchicci-opachi volano sempre e comunque ovunque. Anche sui vestiti “da evitar il gatto”. E si vedono. Sempre. E non vanno via. Mai. Né col lavaggio intensivo, né con la spazzola apposita. Spazzola, appunto, che non ha più motivo di esistere. Dovrei ricordarmi di mandare una mail in merito, al Codacons, forse.
Non ho mai considerato che tenere un gatto in casa e avere un mobilio sono due eventi mutuamente esclusivi: o tieni il gatto, o tieni il mobilio. E se ti ostini a credere che in un modo o nell’altro riuscirai ad addomesticare il primo, e a salvare il secondo, il risultato sarà sempre e solo che il primo dichiarerà guerra al secondo, finchè non avrà chiarito il concetto che è lui (il gatto) il re e padrone assoluto, e l’altro (il mobilio) il mero testimone di questo fatto. Perché se c’è una cosa che chi tiene un gatto non considera mai, è che in realtà il padrone è il gatto, non l’uomo. Il gatto prende possesso del territorio dell’uomo, e lo fa nel modo più antico, tribale, e classico del mondo: ci piscia sopra. Piscerà sul letto (meglio ancora se sfatto), sul divano (meglio ancora se nuovo), sulle porte (meglio ancora se in wengè), sulle piante (meglio ancora se di basilico appena piantato), sul muro (meglio ancora se chiaro… così si vede e chiarisce meglio il concetto)… elenco da continuare a piacere (NB. Guardatevi intorno: qualunque cosa su cui poserete lo sguardo è potenzialmente marcabile dal suo DNA urinario). E se questo vi sembra poco, considerate che dopo averci pisciato (= averne preso possesso) dovrà sentir il bisogno di affilarsi le unghie, e cosa c’è di meglio del rivestimento in ecopelle delle sedie del soggiorno come personale affilaunghie? Insuperabile, se non, forse, solo dalle tende del salotto, della cucina e della camera da letto, la tovaglia, e il salottino in midollino sulla veranda… sì, questo è decisamente il massimo.
Mi chiedo se, nella loro immensa saggezza e disinteressata generosità, gli arredatori d’interni, i designer avanguardisti, le falegnamerie, pelletterie, cucinerie, bagnerie e affini, e, come dimenticarli? I sublimi dèi creatori dell’Ikea… mi chiedo, dunque, se tutti questi signori abbiano mai considerato il fattore “gatto”. Che me ne faccio, di grazia, del trattamento “antiacaro permanente”, se poi devo dormire col tanfo del “trattamento felino permanente”, incollato al materasso? Come posso mai sperare di guardarmi un film, o la finale di Champions League, o uno dei tanti studi sociologici psichiatrici umani (per es. Grande Fratello), comoda comoda nel mio bel divano… marchiato a fuoco dal padrone di casa, ed eletto tiragraffi ufficiale di corte?
Non avevo mai considerato che un gatto, a differenza di qualunque altro essere addomesticabile, resta sempre e comunque un gatto: per quanto impari le buone maniere, farà sempre il comodo suo; non risponde ai comandi come un cane: se gli va, viene, sennò se ne sta per conto suo. Salvo poi venir di corsa in braccio quando sente qualche spiffero: altro che animale affettuoso… è l’essere più cinico ed opportunista che io conosca. Dopo l’uomo s’intende. Suo degno compare di merende.
L’anno scorso gli ho comprato un apposito attrezzo, un grosso coso peloso (niente sorrisetti ambigui, per favore…) che al negozio mi hanno assicurato essere un tiragraffi, un affare, cioè, che dovrebbe farsi amare alla follia dal mio gatto e conquistarlo a tal punto, da distoglierlo dalla sua attività vandalica preferita… Sapete cos’ha fatto quando ho scaricato lo scatolone sul tavolo? Ha fatto le fusa e strofinato le sue ghiandole cefaliche lungo tutto il perimetro dello scatolo… e quando ho finito di montare il “tiragraffi”… si è tuffato nello scatolone ignorando completamente il grosso coso peloso!!! Da un anno, quello scatolo è una delle sue “cucce” preferite. Il tiragraffi sta in un angolo a prendere polvere, povero, solo e sconsolato. Non credo che il mio gatto abbia mai capito la sua funzione. Dovrei proprio chiamare il Codacons…
Non avevo mai considerato l’idea di avere un gatto.
Prima di conoscere Lui.
Lui e il gatto.
Lo so, noi donne siamo masochiste per definizione. Ho adottato questa famiglia allargata (Lui+ gatto) prima di essere propriamente consapevole delle conseguenze delle mie azioni. Il fatto è che quando cominci a farci l’abitudine, ai peli, al tanfo d’urina, ai graffi, al divano su cui non potrai mai far sedere gli ospiti, ormai è tardi: il gatto ti ha fottuto. E l’ha fatto talmente bene che non riesci a ricordare più quando e come è stato che hai cominciato a volergli bene. Ma non ci sono dubbi: è lui che ha fottuto te. Perché credi di essere il suo padroncino, la mano che lo nutre con i croccantini migliori sulla piazza, la schiena che s’incricca quando lui vuol stare al caldo e s’insinua sotto le coperte (mi correggo: le sue coperte), la pancia su cui sonnecchia fusando a tutto spiano… la realtà è che è lui che comanda, e ti ha reso il suo animaletto domestico. Il suo macrocefalo, stupido, nevrotico, ingenuo animaletto domestico.
dicono le sette vite, ma i gatti dovrebbero averne trenta, quaranta di vite, tante sfighe capitano loro, per poter durare un tempo decente accanto a noi. Birolli l’ho seppellito in giardino pochi mesi fa, si era bruciato in poco tempo tutte e sette le vite e qualcuna di più presa a credito come un tossico perso.
(ed è vero, in questi frangenti, voi siete più coraggiose di noi)
ml
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Più che coraggio, era necessità: povera bestia, agonizzava da giorni, e l’ultimo non riusciva più a bere né a riposare. Per questo mi vidi costretta a chiamare il veterinario. Era la cosa giusta da fare.
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