
Esattamente un anno fa oggi stavo vedendo Matrix Revolution. Lo davano in tv. L’avevo già visto, naturalmente, ma è sempre un piacere rivederlo. Per Keanu Reeves e per Matrix, ovvio.
Ricordo ogni dettaglio di quei giorni. Di oggi, un anno fa. Il tempo a volte scorre al rallentatore, come se lo sapesse, prima di te, che saranno giorni fatidici, speciali. Giorni che segnano. Che restano sospesi ed eterni come statue di bronzo.
Era domenica. Faceva un freddo cane. E il cielo grigio non invogliava ad uscire neanche a pagamento. Ma avevo detto che ci sarei andata, per cui mi scrostai controvoglia dal divano e, come già detto qui, mi preparai. Con estrema lentezza. Una mia cara amica aveva indetto una specie di riunione cittadina. Era la prima volta che uscivo da mesi. Eccezion fatta per il capodanno appena trascorso in Toscana. Ma quello non era uscire: quello era stare in famiglia. Uscire e vedere gente era il problema.
Quella sera ci tenevo ad esporre la mia idea. La mia idea era Mobedì, che ancora non esisteva e non si chiamava Mobedì. Qualche settimana prima ero andata a correre, non lo facevo da più di sei mesi. Neanche questo era uscire: questo era stare con la mia famiglia fatta di radici e foglie. E lungo uno dei miei percorsi mi imbattei nell’amianto, ai piedi dei miei alberi. Andai su tutte le furie. Ma quella sera quasi nessuno mi ascoltò. E solo io ricordo come mi tremavano freddo le mani e hanno continuato a farlo nei due giorni successivi, che passai a letto, per lo stress di aver affrontato tutte quelle persone insieme. Mi succedeva sempre così.
Ma quella sera c’era una persona, quella persona che mi ha cambiato la vita. Tizio. Non ho mai creduto al colpo di fulmine, fino a quella sera. A posteriori, mi confessò che era stato reciproco. Mi googlò quel giorno, sperando che l’uomo accanto a me fosse “Il mio amico gay“. Invece era il mio compagno. Di vita, di avventure, di tante battaglie. Tizio non sapeva che eravamo in crisi nera da un paio d’anni almeno. Ma, un timido messaggio dopo l’altro, suppongo l’arguì facilmente. Non fu così facile, come penserete, tradire nel cuore il proprio uomo da parte mia, e corteggiare una donna impegnata da parte sua. Eravamo pieni di paure e rimorsi entrambi. Eppure terribilmente attratti, al limite del ragionevole.
Quel che sapete, da Adesso, è che galeotta fu la canzone e chi la scrisse, ma anche il caffè che ci prendemmo. Quel giorno dimenticai la stevia al bar. Lui la recuperò, da vero cavalier servente, e più tardi, quando uscii con quella amica, si propose di riportarmela. Una volta che avessi finito la tisana con l’amica. Non sono nata ieri, in certe cose. Sapevo cosa sottintendeva quella proposta. E quando gli dissi “Lo sai che sono impegnata, sì?” e lui rispose “Sì, ma non sono geloso“, non fu nè facile nè scontato quel bacio vicino all’arbusto con le bacche rosse. E lui non sapeva di mentire.
Quel che però voi non sapete è che io ci provai. Ci provai a tenere a freno i “cavalli“ (le emozioni). Mi vergognavo come una ladra, e mi odiavo per quel che stava succedendo, ma dopo tutto non era ancora successo nulla di irreparabile. Quindi decisi di troncare sul nascere quella cosa il giorno dopo. Ma volevo farlo di persona: odio che queste cose affettive, così importanti e delicate, vengano gestite con degli intermezzi, cellulare o chat o mail che siano. Dovevo farlo faccia a faccia se ne avevo il coraggio. E lo avevo. Solo… se ci fossimo visti al bar, o in macchina o altrove sarebbe venuto meno. Non riuscivo ad uscire di casa e insieme affrontarlo: lo invitai perciò.
Lui, poverino, si aspettava certamente qualcosa di romantico… e invece fui davvero glaciale e risoluta. “Lui è il mio uomo. Questa cosa non può andare avanti“. Ricordo la faccia che aveva e i tentativi di farmi cambiare idea. “Ma non mi conosci” diceva “Dammi una possibilità, il tempo di...”.
Non sentii ragioni. E volli chiudere in fretta: se fosse rimasto un minuto di più avrei ceduto. L’errore che commisi, e che avrebbe dovuto dirmi qualcosa, fu che gli lasciai un mio scritto, miei appunti e considerazioni personali sul Lavoro e la Quarta Via di cui, riconobbi ad occhio, aveva bisogno. Dovevo immaginarlo che quel gesto voleva dire qualcosa.
“Non può funzionare” gli avevo appena spiegato “Perché tu sei me al maschile. E io conosco fin troppo bene la mia struttura e le sue debolezze“. Un’analisi, come sempre, ineccepibile. E profetica.
Tuttavia accadde che, non avendo potuto festeggiare San Valentino, per i disastri che ho spiegato qui, quella sera io e Lui uscimmo: Lui non sapeva che stavamo festeggiando la mia presunta vittoria sui miei “cavalli”. E quando, del tutto casualmente, incontrammo lì la mia amica e il suo futuro marito e Lui le lanciò la frecciata “Queste donne fanno le ore piccole quando si vedono…“… avrei preferito morire. Giurai a me stessa che mai più gli avrei mentito, e mai più avrei combinato una cazzata colossale di quel genere. Il rimorso e la vergogna sono troppo duri da sopportare e troppo poco dignitosi per un essere umano che voglia essere tale.
Però non mi ero consultata coi miei “cavalli”. Quella notte non dormii. E il giorno dopo avevo perso appetito. Vagavo per la casa senza scopo, senza vita, senza entusiasmo. E non smettevo di pensare a Tizio. A quel bacio. Ai suoi occhi fissi su un’altra dimensione tranne quando lo riportavo con me, al presente. Alla realtà. Mi resi conto che non era una cotta. Che ci avevo provato a resistere, ma non stava funzionando. Non era un capriccio. Me n’ero davvero innamorata e il pensiero di non rivederlo più, non parlargli più… mi uccideva.
Così, dopo due giorni di digiuno coatto, presi la decisione di richiamarlo. Non sapevo che avrebbe fatto, se mi avrebbe mandata a quel paese, dopo averlo liquidato in quel modo, oppure no. Probabilmente fu tentato di farlo, sì. Ma non lo fece. Fu allora che le cose divennero irreparabili. E più passavano i giorni, più il mio tormento cresceva. Non sapevo far a meno di Lui, ma Tizio mi era entrato di prepotenza nel cuore e nella mente. Non mi ero mai sentita così in tutta la mia vita, non sapevo neppure che ci si potesse sentire così.
Arrivai, con cinque chili in meno, e i nervi a pezzi per l’insonnia, all’8 marzo. Lui sapeva che mi stava perdendo: mi conosceva nelle viscere, sapeva a memoria ogni sfumatura del mio essere.
“Ti sei innamorata, non è così? Di Tizio“
Ero sconvolta. Non immaginavo che sapesse. Ma avrei dovuto invece: Lui era fin troppo intelligente. Si era accorto fin dalla famosa sera del 18 febbraio di quel che stava accadendo, ancora prima che io e Tizio ce ne rendessimo conto. La scena che seguì fu feroce e straziante, e se Lui non fosse uscito, del tutto fuori di sè, a quel punto, non credo che avrei mai avuto il coraggio di fare la valigia. Dovevo dormire e stare tranquilla per capire cosa fare e cosa stava succedendo. Ma di fatto, lo stavo lasciando, e da vera vigliacca non riuscivo nemmeno ad ammetterlo. Ero odiosamente un’ameba in quei giorni, insipida, smidollata, fiacca e debole. Come possa essersi innamorato di quell’ameba Tizio, nemmeno adesso me lo spiego
Tizio venne a prendermi, ma non andammo subito a casa dei miei. Andammo a Polignano. Ma io non c’ero. Ero come in trance. Uno zombie. I sensi ottenebrati e istupiditi. Una parte di me felice di essere con Tizio, e l’altra parte inorridita dal “Che cazzo stai facendo?“. Non mi ero resa conto, idiota com’ero, che da certe decisioni non si torna indietro. Non è come quando fai una marachella da bambino. Sei adulto, e le marachelle da adulto non si aggiustano facilmente; specie se fanno danni a cose e persone. Quel calvario durò ancora a lungo. Il tempo di metabolizzare un lutto che non ero preparata ad affrontare.
Tizio fu dolcissimo. Mi aspettò, paziente; mi concesse tempo, mattane, crisi isteriche, l’incostanza nel non rispondere ai messaggi e alle chiamate. Di non essere reperibile, nemmeno quando c’ero fisicamente. Ma anche questa presunta pazienza era “struttura”, e io avrei dovuto ricordarmelo. Non sapevo d’altro canto che pure lui aveva da pochissimo interrotto una lunga relazione. Non sapevo tante cose. Che non era sereno, che non aveva ancora trovato la sua strada. Che aveva anche lui un bagaglio e delle radici da raddrizzare. Ma l’ho amato profondamente. La cosa che di lui ho amato di più è stata la sua voglia di crescere e migliorarsi, il suo modo di permettere a me di crescere, di stimolarmi, rafforzarmi, e anche arginarmi con le dovute bacchettate quando serviva (e serviva spesso); ho amato la sua anima bella, dolce, frizzante e luminosa che traspariva tante volte in un sorriso, in un gioco, quando mi faceva uno scherzo. Era meraviglioso, lui. Ed era meraviglioso stare insieme, condividere tutte quelle cose insieme, progettare cose insieme, anche se non ero pronta a farlo.
Cercavo di dirglielo: ti prego, rallentiamo. E’ troppo veloce per me tutto questo. Lo so che ci siamo innamorati e abbiamo un’età e a quest’età è normale accelerare le cose e fare progetti, ma ho bisogno di tempo…
Forse ho tirato troppo la corda. Forse l’ho ignorato, egoista e lagnosa come sempre, troppo a lungo. Sta di fatto che quando tornai a Turi, dopo una breve permanenza a Bari, quel giorno di Maggio, e gli dissi, credendo che ne sarebbe stato felice “Ok, sono pronta. Voglio te, perciò sono pronta, niente più pianti: andiamo avanti con questa storia…” proprio non me lo sarei aspettato il suo “Adesso ho bisogno di tempo io“.
Cieca ed egocentrica com’ero stata, non mi ero resa conto di lui, dei suoi problemi, della sua situazione difficile e complicata. Di quanto avesse bisogno di tranquillità, sano egoismo, e di chiarirsi le idee su tante cose. Di certo non mi aspettavo che mi avrebbe di botto tagliato fuori dalla sua vita senza darmi spiegazioni nè modo di capire. Il dolore fu atroce. Un altro lutto a così breve distanza dal primo, mentre ancora avevo le ossa rotte. Mi incazzai come una furia. Cosa che gli ho fatto scontare più volte, quando nel corso dei mesi, a varie riprese, siam tornati a sentirci o vederci. Gliene ho dette di tutti i colori. E sebbene avessi ragione di essere arrabbiata, sono consapevole di aver esagerato.
E che in fondo, aveva ragione: non eravamo pronti. Dovevo crescere e mettermi sulle mie gambe, e lui doveva fare altrettanto. Certo io ho avuto il gruppo alle mie spalle, e lui no, cosa che fa (non poco) la differenza. Ma riconosco, a malincuore, che avesse ragione. E che non rispettando il suo bisogno profondo, non sforzandomi nemmeno per sbaglio di comprenderlo… non l’ho amato davvero.
Certo, indulgere in questi pensieri è sempre doloroso. Per questo evito il suo profilo social, ed evito di vederlo se posso. Se sta con un’altra, non voglio saperlo. E immagino sia lo stesso per lui. Ma ho imparato a sopportare anche questo. E forse col tempo passerà. Forse col tempo questo amore si trasformerà, e ci sarà tempo e spazio per qualcun altro. Ma adesso no. Adesso l’unica cosa che mi dà forza e consolazione è Lavorare per me stessa, il mio piano, il “mio” progetto, e grazie a Dio è un progetto abbastanza impegnativo da impedirmi di indulgere troppo.
Tuttavia, oggi è un anno che ci siamo conosciuti e ci siamo reciprocamente cambiati la vita, ciascuno a suo modo. E, nonostante tutto, è davvero bello ricordarlo. Non so cos’abbia in serbo per noi l’Architetto. Per me, per lui, o per entrambi. Non lo so davvero. So però che il 18 febbraio 2018 ha organizzato qualcosa che ad immaginarlo apposta non ci si riuscirebbe.
un piacevole anniversario…in bocca al lupo!
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Apprezzo il pensiero 🙂 Non so bene cosa augurarmi/ci. Se non ha funzionato finora, ho qualche dubbio che possa in futuro. E preferisco non pensarci in effetti. Ma, sì, è memorabile lo stesso 😉
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