Gerda

Countdown to 8 marzo 2019. Una data che per me resterà epocale. La mia seconda nascita. Voglio festeggiarla così, con le mie donne, una al giorno. Donne complesse, fragili e forti, donne che sbagliano, che rischiano, che a volte vincono e a volte perdono. Donne che tutte le donne hanno, in varia misura, dentro di sè.

Gerda è un tipino davvero poco raccomandabile. Di origine nordeuropea, “adorabile” nonna, moglie pilastro, letale guerriera e nemica sconsigliabile: è, in realtà, l’archetipo della moglie, Hera. La donna tradita per eccellenza. E’ la famiglia e l’onore sopra ogni cosa; è le relazioni innanzitutto sociali e “se mi convengono”; è il sacrificio e il sostegno per il proprio clan e il proprio uomo; è la rabbia vendicativa di ogni donna, e, in fondo, verso se stessa: la sua incapacità di sottrarsi ad un legame fasullo, per il bene della “famiglia”. La sua impotenza davanti a un desiderio di possesso e potere che vince tutto, anche la dignità. Un dolore, un sacrificio, un’umiliazione ed una rabbia feroci che solo una donna può comprendere. Rileggerlo ora, a distanza di qualche anno, devo dire che mi fa un certo effetto. Courtney, giovanissima “schiava” che si becca le scudisciate senza fare una piega, è lo specchio fiero e dolorante di quel che forse un giorno era Gerda (un’Artemide?), e a sua volta costei mostra forse a Courtney un destino annunciato, di risentimento e odio e vendetta mai paga. Un destino di vita rinsecchita dietro le rughe dell’amarezza e del disprezzo.

Il passo che segue è tratto da Iustitia – parte III.

– La voglio morta! – inveì Gerda, gettando cose attraverso la stanza – Tutt’e due! Le voglio morte tutt’e due! Tutta la sua stirpe maledetta deve crepare! –

Certo, le sfuriate di Gerda non erano una novità per loro, ma quei livelli di furia, a memoria dei suoi schiavi, di sua figlia e il resto dei suoi, non erano mai stati toccati. Sahar, da sempre, era stata la spina nel fianco, il tallone d’Achille che l’aveva ossessionata d’odio e rancore mai sopiti.

– Tu cos’hai da guardare? – urlò ad una schiava e le mollò un ceffone che fece rovinare la poverina a terra, colando sangue dal naso – Ma di che cosa sono fatte, queste, di pappamolla? Tu – abbaiò poi alla schiava appresso con lo sguardo fisso al pavimento – Prendi il mio scudiscio –

La schiava, che si dà il caso fosse Courtney, si guardò allora interrogativa intorno.

– Tu sei nuova – riconobbe Gerda – Mostrale il mio scudiscio – ordinò quindi ad una terza, che sgambettò subito ad esaudirla.

– Te l’hanno dato un nome? – chiese ancora a Courtney.

– No, signora –

– Ti chiamerò Sahar, allora. Sono molto arrabbiata, Sahar… guardami quando ti parlo! – mollò un manrovescio anche a lei, ma stavolta la schiava resse il colpo – Uhm, interessante. Finalmente qualcuno che sa incassare: vediamo se riesci a reggere anche questo – strappò lo scudiscio dalle mani della terza schiava scaricandolo con veemenza sulla schiena di Courtney.

Che fosse per l’addestramento militare, o l’abitudine alle disavventure, Courtney seppe restare in piedi anche a quello, e al successivo e all’altro dopo, stringendo i denti e i pugni.

– Era mio! – urlò Gerda calando il colpo – Era mio, sgualdrina che non sei altra! Perché non sei morta, uccisa da un maledetto asthor, o una febbre o colpo apoplettico, maledetta! Perché? Non ti bastava avermelo portato via, no… hai dovuto anche trionfare dandogli due figlie, e una nipote che adesso lui adorerà più di qualunque cosa io abbia fatto per lui finora! Maledetta stronza! –

Poi improvvisamente crollò in ginocchio, e cacciò via tutti, tranne lei, Courtney, dalla stanza.

– Via, maledetti! Via! –

Pianse e singhiozzò con la mano ancorata al petto, in un vano tentativo di tamponarne il dolore, e quasi suscitò in Courtney pietà, un senso di delicato pudore. Dalla gola di Gerda sgorgava un pianto profondo, a cascata, con le rapide e gli scogli irti, acuminati, contro cui infrangere i lembi di pelle a brandelli e lasciar scorrere il sangue tra i flutti vorticosi. Era strano sentirsi vicini a una donna nemica e che l’aveva appena percossa a sangue, eppure provava questo Courtney: vicinanza, comunione in quel dolore dirompente e maledettamente vero.

– Era mio – gemeva Gerda, a scatti – Io l’ho amato con tutta me stessa… oh, lo sentivo che non doveva andare, ma suo padre era così orgoglioso che seguisse quell’addestramento indiano… partì da Stoccolma che era mio, e tornò due anni dopo che non lo era più. Non mi voleva più – battè i pugni sul pavimento dando in un lamento gutturale, di bambina ferita, il lungo ululato del lupo ferito a morte – Lo sapevo che non mi voleva più… Oh! Se fossi stata una vera donna, l’avrei rifiutato… avrei detto al vecchio Wilhelm: “Riprenditi i tuoi contratti, le tue promesse nuziali del cazzo… tuo figlio non mi merita! Tuo figlio è degno della puttana che ha scelto per sé!”. Così avrei dovuto dire… e invece no: mi sono umiliata, svenduta per due briciole, sono scesa a patti col demonio per riaverlo con me, pur sapendo che non mi voleva più… che vergogna! Ha giaciuto con me per anni, mi ha ingravidata, ha infilato quell’anello al dito, e ha sempre e solo voluto lei! E io lo sapevo, gliel’ho lasciato fare… gliel’ho lasciato fare… –

Finalmente parve acquietarsi, di una pace arresa e dolente. Sollevò lo sguardo esausto dal pavimento, dove aveva sciolto le lacrime e il trucco. Tutta l’altera fierezza dei Fergi era lì sciolta su quel pavimento.

– Guardami, schiava. Ti ordino di dirmi la verità: ti faccio pietà, non è vero? Dimmelo: ti sembro patetica, non è così? – e c’era pur sempre della dignità nella sua domanda. Cosa che di fatto turbò Courtney.

– Un po’, signora – rispose, con un tremendo groppo in gola – E un po’ no –

– Un po’ no? – sorrise tristemente sarcastica Gerda – E perché mai, un po’ no? –

– Non lo so. Forse perché credo di averlo fatto anch’io –

– Essere patetica? Umiliarti? –

– Sì –

– Sei una schiava, tu ubbidisci perché hai un protocollo nella testa che ti obbliga a farlo: non è umiliarsi quello –

– Non intendevo quello, infatti – sviò lo sguardo Courtney.

– Spiegati, allora –

– Non sono sempre stata schiava. Mi sono innamorata di un uomo che amava un’altra; una donna che tra l’altro era mia amica, e a cui volevo bene. E nonostante io sappia benissimo che lui continua a volere lei, e ad ignorare me, io continuo a mia volta a pensare a lui. E non è nemmeno un granché, come uomo – sorrise.

Anche Gerda sorrise a quel punto.

– Non sono mai un granché, dopo che li conosci un po’. Ma tu non hai provato a riprendertelo, a costo di svilire ogni tuo valore, giusto? –

– Non l’ho fatto solo per troppo orgoglio. Credo sia solo una questione di principio, in effetti: lui rappresenta quello che non posso avere, ed è profondamente stupido seguitare a pensarci. Ma se continuo a volere una cosa che non posso avere, se seguito in questa stupidità… il concetto di umiliazione non cambia molto – deglutì.

Gerda studiò a lungo il volto di Courtney in silenzio. Poi dopo un tempo infinito le chiese di aiutarla a sollevarsi, quindi le afferrò il braccio con forza.

– C’è un’enorme differenza tra il mero pensare in modo stupido, e dare seguito a quei pensieri con azioni stupide: questo è honore. La prima regola del mio clan, e dei miei padri: io l’ho tradita, pensando in vano di difenderla, in modo davvero stupido. Capisci la differenza? – poi sospirò, cacciando via dal petto e dal volto ogni traccia di vulnerabilità – Va’ a lavarti le ferite, e fa’ che siano ben disinfettate. Ti voglio sempre con me, d’ora in poi: hai capito? –

– Sì, signora –

– Ora vattene, e riposa. Domani sarà una lunga giornata –

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