Stubborn love

Stubborn… come una piantina che si ostina a crescere, non invitata, in mezzo a due mattoni…

Non sono più abituata a scrivere a letto. Il pc in bilico sulle gambe, puntato in obliquo sulla pancia. Tremila cuscini per attutire la spalliera dietro la schiena e la testa.

Quando studiavo era la mia postazione preferita, e per alternare, mi mettevo ogni tanto a pancia sotto. Solo che dopo un po’ ti si incricca la schiena di brutto, anche se è una schiena discretamente flessibile come la mia.

Quando studiavo…

Mi mancano i libri.

Mi manca l’odore dei libri.
Mi manca sfogliare le pagine. Disperarmi per la data troppo vicina. Fare le ore piccole a riscrivere la medicina secondo me.

Scrivevo anche per studiare.

Mi dicevo, se so spiegarlo, riscriverlo a modo mio, vuol dire che l’ho capito.

Avrò scritto qualche decina di testi di medicina solo riscrivendo i miei appunti.

Di sicuro su alcuni di quegli appunti, so per certo, c’è gente che ci si è laureata. Mi fa effetto pensarci, a volte.

Tra un anno avrò il pezzo di carta, lo giuro.

Lo voglio, con tutta me stessa, come non ho mai voluto nient’altro.

Bugia: come ho voluto vivere, di prepotenza. Di cocciutaggine. E chi mi conosce bene sa quanto ridicolmente testarda sono a volte. Stubborn, si dice in inglese. Mi fa pensare alle mucche, ai buoi, questa parola. E non solo per via dei modi di dire. E non solo perché sono toro, e mi dicono che so essere davvero un toro, spesso e volentieri, e non in senso buono.

Stubborn love, una canzone carina e un po’ buttata lì a squarciagola. Come se l’amore potesse essere testardo. Io dico che, quando si ostina, è solo stupido. E’ solo masochista. Non l’ha capito che non è amore, che è solo capriccio, insistere contro un muro di gomma. Restare su una dinamica del rifiuto e dell’abbandono.

Dovrebbe svegliarsi, allora smetterebbe all’istante di essere stubborn. E però smetterebbe anche di essere love. Quello di poco conto.

Il vero amore, quello con la A, quello cioè che non ha proprio niente a che fare con le canzoni, le poesie e i film cosiddetti “d’amore”… lo stupidario comune, insomma; ecco, quell’amore là forse potrebbe essere testardo solo in un caso. Nel caso in cui, cioè, voglia ostinarsi ad amare ciò che di bello e costruttivo c’è nell’altro, ammettendo che ci siano anche cose non amabili.

Ma, presupposto indispensabile e interessante, devi avere occhi per vedere. Per vedere qualcosa in più e di diverso da te stesso, maledizione. Perché, per quanto ti ci sforzi, tu sei ovunque. Tu e il tuo ego, tu e i tuoi bisogni, tu e i tuoi vuoti da riempire, le tue dinamiche irrisolte del cavolo.

Come fai, diavolo, ad amare qualcuno, se non vedi e non senti che te? Se non fai nemmeno lo sforzo di capire, di sentire, di vedere che accidenti sta cercando di dirti quell’altro? Cosa vuole? Perché?

La verità, la cruda dannata verità, è che al nostro livello di essere non ce ne può fregare di meno di capirlo l’altro. Vogliamo solo i cazzi nostri.

C’è un che di comprensibile: abbiamo sofferto come cani, tutti quanti, specie da piccini. E’ comprensibile volere una rivincita. Ma orsù, siamo onesti: non chiamiamolo amore. Non facciamo gli ipocriti fino a questo punto.

Non mi da più fastidio stare da sola.

Ci ho fatto l’abitudine. Talmente bene, che non ho tanta voglia di stare insieme agli altri, a volte.

Ci ho fatto l’abitudine a tante cose. E di alcune sono davvero felice.

Per esempio il fatto di non essere più così incazzata nera col mondo. Mi è passata, s’è sciolto. Ce l’avevo sullo stomaco, come una specie di mangiata di carne indigesta, che non va né su né giù.

E’ successo in Toscana. Qualcuno ha detto “Diventare adulti significa capire che siamo soli”.

L’ha detto in un modo che mi ha toccato dentro, e quando qualcuno ti tocca dentro, senza usare un bisturi, improvvisamente non ti senti più solo. Non veramente.

E’ un essere soli diverso. E’ pieno, non più vuoto. E’ sereno, non triste, né rabbioso. E’ rappacificato. Consapevole.

Sei solo nelle scelte, perché solo tu puoi farle, quelle importanti, quelle dove decidere se andare o restare, se sì o no, se di qua o di là. Quelle dove mettere una firma significa pagare, da solo. Solo significa che tu sei tua responsabilità: se stai bene, se mangi bene, se dormi, ti muovi, ti alleni, se ti comporti bene è solo una tua responsabilità.

Solo significa anche che se hai voglia di guidare fino in Toscana e ritorno, puoi farlo. E’ una tua scelta e, cazzo, te la godrai per intero.

Solo è anche libertà, quindi, ma non quella libertà a buon mercato dei ribelloni. Che liberi non lo sono per niente. La libertà quella vera, quella che paghi fino all’ultima goccia: la libertà di varcare la soglia della casa che ti stai pagando col sudore della fronte e ogni goccia del tuo sangue, per fare il cazzo che ti pare. Quella è una forma di libertà.

Solo significa saperla reggere, la responsabilità. E quando non ti atterrisce, è forza.

Solo significa saper decifrare i problemi, saperli soppesare, e saper trovare soluzioni. Senza problem solver esterni, senza consulenti di vita a buon mercato. Nessuno può sentire quel che senti tu, nessuno può trovare soluzioni, nessuno può provare il desiderio, la volontà autentica di trovare e mettere in atto la soluzione al posto tuo. Nessuno può farlo; nessuno è tenuto a farlo.

Stare insieme allora significa trovare un’alleanza tra solitudini.

La Toscana ha iniziato un qualcosa, che si è concluso a Londra.

Ci sono stata l’ultimo weekend di agosto.

E’ stato meraviglioso. Non l’ho mai vista così bella Londra, nemmeno lei credo si sia mai vista così. Con quel sole, quella voglia di stare in giro, nella luce dorata. E i parchi, coi loro angoli da fiaba non scritta, perché non si può descrivere a parole. Le panchine su cui qualcuno, forse, è stato davvero amato, a tal punto da lasciarci il nome sopra.

Londra è stata un sogno. E anche un risveglio.

Ero terrorizzata di andarci, ed è stato in realtà triste venir via. Col portafogli mezzo vuoto e tremila cose in più da non poterci risalire, quasi, sull’EasyJet di ritorno.

In pochi giorni ho realizzato che sono davvero cambiata, e non perché ora ho una macchina, una casa, un lavoro, dei soldi, le idee cristalline su dove sto andando, e come e perché. Sono cambiata perché ho chiuso una porta dorata e non ho pianto a singulti, disperandomi, col lamento capriccioso del bambino che non lo accetta. L’ho fatto in silenzio, accettando una difficile scelta che solo un adulto può prendere. Perché è quella giusta, anche se fa un po’ male.

Sono cambiata, di colpo. E forse era già iniziato tempo fa, questo cambiamento, da dentro, in sordina.

Forse è questo integrare: non è che smetti di provare le cose, le provi con una consapevolezza diversa. Senza eccessi, senza tragedie.

Le cose iniziano, finiscono. Ed è normale.

Le opportunità arrivano, svaniscono; e magari ritornano, se sei abbastanza testardo da lasciargli una porta aperta. Senza restare attaccato allo spiraglio.

E’ difficile, ma non impossibile.

Pensavo di essere pronta a partire, magari per sempre. E invece ci sono cose, qui, da finire.

Le devo finire da sola. Ogni tanto dovrò ancora chiedere aiuto, ma non così spesso, e non così pietosamente come prima.

Londra è stata un sogno, un verde e dorato sogno. E anche un risveglio.

Non smetterò mai di ringraziare Dio e me stessa, per le opportunità che ho deciso di darmi. L’esperienza non è ciò che fai, ma come lo fai. Puoi collezionare tutti i posti del mondo, ma se dentro sei sempre il solito cazzone superficiale e ottuso, con l’ego pronto a coprire ogni dannata cosa, hai solo sprecato il costo del biglietto.

Collezionisti di esperienze, come di amori, e di vita usa e getta.

Che vita triste e vuota.

Settembre è arrivato, come ogni anno. Iniziano alcune cose, di nuovo. Eppure sarà tutto diverso.

Avere il coraggio di cambiare, ora lo capisco un po’ meglio, non significa cambiare qualcosa fuori, ma cambiare come vivi dentro e quello è un Lavoro che (l’ho sempre sospettato) nessuno ti regala fuori, nessun libro, nessun corso del piennellista di turno, nessun seminario, nessuna tecnica, nessun ashram, convento, prete, guru, spacciatore di buone sentenze e buonismi della domenica: te lo devi sudare, sano sano. Da sbatterci la testa sopra proprio stubborn, stubborn love. Sarai tentato di cedere, mille e mille volte, e dovrai ricordarti di non farlo, dovrai ricordartelo da solo, con speranza, e devozione, per amor tuo.

Un amore testardo.

Sono tornata, perciò. Forse un giorno ripartirò, e forse quel giorno sarà per non tornare. O forse nel frattempo troverò un motivo buono per restare qui indefinitamente.

Le cose stanno cambiando, ancora, di nuovo. Tra una settimana lascio il lavoro in agenzia, e si apre ancora una volta una nuova vita. Una nuova avventura qua in Puglia, e davvero un’avventura avventurosa. Ma non voglio anticiparvi… cose che nemmeno io so bene adesso.

So che di sicuro la fatica di questi mesi è servita, che mi ha temprato, e preparato alla vita da adulta quasi normale cui cerco di abituarmi. E anche se cadrò ancora, e ancora e ancora, adesso non ho più paura, nè delle cadute, nè dei cambiamenti: persino le foglie d’autunno, ritornano a primavera. Così riprovo, ogni volta, con ostinato amore.

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