Amarsi

Nella settimana dell’anno dove la parola amore è più vituperata che mai, non voglio buttarla ulteriormente in polemica o diabetica esaltazione. Voglio raccontarvi la storia di un amore vero e concreto. La dimostrazione concreta che l’amore vero esiste e lo capisci perché la verità, come ho già avuto modo più volte di dire, è una sensazione pura, unificante, un cazzotto alla bocca dello stomaco che ti fa boccheggiare eppure non di paura: di una tracimante commozione.

A quasi due anni dalla nascita della mia seconda e sorprendente vita (8 marzo 2018, una data tatuata nella mia anima), come sapete ho condiviso in più modi, spesso attraverso la scrittura, la mia storia e il metodo che ho adottato. Il Lavoro psicosintetico, bioenergetico e gurdjieffiano. Una storia che è arrivata più lontano di quanto immaginassi.

Alcune settimane fa, una persona, che chiameremo Eva, mi accennò a un disagio esistenziale che provava. Molto giovane ma già fin troppo matura e provata per la sua età, era anche molto fragile e pallida, separata da un sentire che temeva profondamente; al minimo accesso di vitalità reagiva con paura, quasi potesse mandarla in pezzi.

Una cosa che amo del Lavoro è l’addestramento all’ascolto: impari ad ascoltare te e, col tempo, anche gli altri. Impari a fargli spazio, a starti zitto anche se vorresti parlare, occupare il silenzio con le chiacchiere del tuo inutile punto di vista. Quando riesci a farlo, quando riesci a fare il vuoto necessario per far spazio alla vita, al sentire, alle parole dell’altro… accade qualcosa di magico. Accade l’amore, quello vero: la vicinanza profonda tra due anime. Ho imparato, con molta fatica, ad ascoltare, perché io volevo essere ascoltata. Così ho anche imparato a tacere, a non dire quel che pensavo finché non si fosse palesato il momento opportuno. A non dare dritte nè consigli non richiesti.

Così ho aspettato. Per mesi.

E questa settimana, proprio questa settimana, Eva si è aperta. Ha vomitato una verità tremenda: la sua vita degli ultimi dieci anni. Non molto dissimile, badate bene, dalla tragedia di noialtri. Solo, era molto consapevole del dolore, della vergogna di non essere stata in grado di volersi bene e proteggersi.

Mi ha dunque raccontato della sua piccola battaglia per la sua personale rinascita: i sacrifici per rendersi indipendente, il buttarsi nel mondo del lavoro, con la stessa determinazione naif e disperata che avevo io agli inizi. La fragile costruzione di un Io martoriato e abbozzato, finalmente capace di ergersi come un virgulto sano.

E mentre raccontava la sua scalata dell’Everest, con quelle sue piccole fragili membra, piccola e fragile non lo sembrava affatto: svanito il pallore, il viso era illuminato da quel rossore proprio dei volti vivi, animati da vitalità accesa e innamorati della vita stessa. Gli occhi finalmente lucidi, accesi su un presente che non fa più paura, da cui non voler più fuggire: uno sguardo presente, concentrato, energico. Lo sguardo di una guerriera.

Mi ha commossa come poche cose al mondo.

Vedere qualcuno risorgere dalle sue ceneri, è assistere ad un’opera d’arte. Un atto creativo. E’ bellezza pura in essere. E’ la forza della vita stessa che non si è arresa, anche quando pensavi invece di sì, e prepotente sgorga nonstante i tuoi continui tentativi di autoboicottaggio: perché la vita crede in te, più di te stesso. E’ sentire che sono stata ascoltata e capita, che il mio messaggio almeno ad una persona è arrivato.

Eva sta imparando ad amarsi. A chiedere alla vita ciò che è giusto chiedere; e sta imparando a non chiedere ciò che non è suo diritto chiedere, perché alcune cose bisogna darsele da sè. Questa è saggezza: questo è il Lavoro.

Vedere la disciplina che impiega nel mettersi in piedi, nel lottare contro le avversità, nell’accettare ciò che non può cambiare senza lagnarsi… questo ripaga di tutta la stanchezza. Di qualunque fallimento.

Amarsi non è sfondarsi di contentini, siano essi calorici o dispendiosi oggetti in saldo. Amarsi non è neppure indulgere con i nostri lati oscuri. Amarsi vuol dire aiutarsi a fiorire. Non fermarsi mai all'”Io sono fatto così”, perché non abbiamo la più pallida idea di come siamo davvero e come potremmo invece essere. E se non si passa da questo Amore, non si arriverà mai (mai) al cosiddetto amore per l’altro.

Arrendiamoci all’evidenza: a questo livello di essere noi non abbiamo la più pallida idea di cosa voglia dire amare. L’attaccamento affettivo non è amore, non lo è l’attrazione fisica o mentale, e non lo è neppure la dipendenza da quella parte che avvertiamo finalmente complementare e “riempitiva” nell’altro. Ci riempiamo la bocca e la testa di minchiate colossali in odore di sacralità orientale, solo perché abbiamo letto qualche libro e siamo d’accordo intellettualmente con l’autore. Ma la verità è che non lo conosciamo ciò di cui essi parlano: non l’abbiamo mai imparato, mai visto, mai ricevuto. Come potremmo sapere di che cosa parlano davvero? Ci riempiamo la bocca di “amore incondizionato” e addirittura “cosmico”… ma se non siamo capaci di amare noi stessi, di fare silenzio e il vuoto per accogliere le altrui parole (Dio: le parole! Figurarsi il resto…), come possiamo ardire di sapere cosa sia l’amore?

Amore incondizionato” spesso è una vile scusa manipolatoria per far accettare a fragili menti l’inaccettabile in certe relazioni. “Se non accetti questo lato di me… allora non mi ami”… sticazzi. Accettare l’inaccettabile e l’indegno è solo un atto di coglionaggine, altro che amore.

Amore cosmico” è spesso un’infantile scusa per andare a scopare in giro. Un continuo cercare di riempire vuoti eterni, di chiedere, prendere, depredare a volte, di cercare una vicinanza, una consolazione, un potere, un calore introvabili. Perché: manchi a te stesso. Come puoi trovare vicinanza nei corpi, se non ci sei tu dentro di te? Se non ti senti, se non stai facendo il tutto per tutto per te stesso, per migliorarti, per vivere una vita piena e degna?

A questo livello di essere, con questo approccio, dobbiamo confessarci che non ce ne frega assolutamente niente di nessuno, ma solo e unicamente di noi stessi (e nemmeno tanto bene, visti i risultati): come altro spiegare questo Io Io Io continuo? Questo chiedere, questo pretendere continuamente? Questo ignorare del tutto chi sia l’altro di fronte a me, che cosa vuole davvero, qual è il suo bisogno, il suo sentire? Questo prendere senza mai dare, mai restituire.

Amarsi davvero costa sacrificio e impegno, ma la gioia che provi a poterti guardare allo specchio con orgoglio profondo, con la sensazione che ne sia valsa la pena è impagabile. Amarsi vuol dire cambiare: soffrire davanti alla miserabile verità, ma avere il coraggio di cambiare. Amarsi è un Lavoro.

E io amo profondamente questo di me, di Eva, di chi ho intorno: la capacità di sapersi mettere in gioco davvero, non a chiacchiere, per costruirsi con la disciplina del samurai e la delicatezza del fiore di ciliegio.

7 risposte a "Amarsi"

  1. Una volta scrissi un articolo su un blog su quello che secondo me è l’amore vero, non riscosse successo anche perchè come condizione, necessaria ma non sufficiente, uno scritto è tanto apprezzato quante più persone ci si immedesimano. Non sono sicuro che la società per come sia istituita oggi possa sorreggere il concetto di amore con l’unico vero prerequisito: Il senso del dovere.
    Almeno questa è la mia opinione.

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    1. Condivido in larga parte. Del resto, quando si parla di queste cose va dato per scontato che non si sta parlando a tutti. Solo a quella piccola parte di uditorio in grado di “ascoltare”. E come ho espresso spesso, ascoltare davvero è un Lavoro, di per sé un atto d’amore. È una facoltà che va sviluppata. Mi hai dato un’idea: ne parlerò nel prossimo post 😉

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