Dove stiamo andando | La cura#

Detachment risponde ad una precisa domanda: dove siamo adesso? Dove stiamo inevitabilmente andando?

Verso uno sfacelo, una valanga inarrestabile che corre verso l’orlo di un burrone e travolge ogni cosa distruggendola. Una devastazione, un abbandono, come devastata e abbandonata è “La casa degli Usher” dalle cui ceneri un giorno forse nascerà qualcosa di bello; ma non lo vedremo. Nel frattempo, tutto ciò che vediamo è il gelo che ci entra in petto a contemplarla, la frustrazione, e il disgusto per ciò che ormai è rovinato; senza speranza di dignità.

Assistiamo allo scardinamento sistematico di ogni punto cardinale, impotenti. Alla bruttezza che prende sempre più il soverchiante sopravvento sulla bellezza, nel linguaggio, nei modi, nei pensieri.

Una mia gruppista al termine del cineforum ha subito esordito chiedendomi “Ma, Angela, questo film è psicoecologico?”.

Sì, le ho risposto. Il disgusto che stai provando è sano: se un film ci insegna a provare sano disgusto per le storture di quel che viviamo, in cui siamo immersi fin sulla cima dei capelli, è molto psicosintetico. Poi, cercando quelle qualità che “curano”, nel film, diventa anche psico-ecologico.

Il film mostra in modo spietato cosa succede in una società senza radici: spiantati, si cresce storti, deviati, senza regole, senza contenimenti, senza bellezza. Perché si è senza cura.

Se nessuno si prende cura di me, vorrà dire che non ne vale la pena. Forse sono un luogo abbandonato, da disprezzare, per cui non ne vale la pena. Questo, senza radici, senza cura, siamo stati condizionati a pensare.

Senza genitori che sappiano fare i genitori, e guide o educatori che sappiano fare gli educatori, perché non sanno esserlo; senza uomini capaci di essere uomini e donne capaci di nutrire come donne, i ragazzi vengono su persi, sprezzanti, sadici, superficiali, ottusi, arroganti teppistelli che portano a spasso chi dovrebbe gestirli e insegnargli a gestirsi. In un turbinio di frustrazione e distruttività.

Senza radici, “tutto va bene” che equivale a dire “niente”. Se tutto e il contrario di tutto è buono, dov’è la verità? Dove i punti di riferimento?

Io mi baso sempre sul sentire autentico, e quel che Zimbardo disse del Bene e del Male: se fa male, è male. Non ci sono vie di mezzo nè razionalizzazioni che tengono a questa equazione. Dire a un bambino “Fa’ quel che vuoi, quel che ti senti” in piena anarchia equivale a contribuire a questo sfacelo: dov’è la guida? Dov’è finito colui che dovrebbe mostrare al bambino cosa è bene e cosa è male, e non per impulso del momento, ma per conoscenza, saggezza ed esperienza? Un bambino non ha quella capacità di visione chiara e limpida, deve imparare le regole e il senso delle regole. Lo deve imparare vedendole “espresse” naturalmente in vita dal suo genitore.

Com’è, allora, un vero genitore? Cos’è che fa di lui un genitore?

In questo mare nero, Adrien Brody, scintilla luminosa, ci insegna la cura. La parola chiave nella genitorialità: le parole della cura che ci sono venute in mente nella condivisione dopo la visione del film sono state

  • attenzione, ascolto
  • costanza, disciplina
  • gentilezza, tenerezza
  • affidabilità
  • fermezza, assertività
  • responsabilità

Queste energie, uno straordinario Adrien Brody riesce a incarnarle come “cura” alla malattia dello sfacelo in cui naufraghiamo: un’energia delicata e sottile, ma anche dignitosa, a testa alta, ferma. E’ assertivo quando col sangue agli occhi rimprovera l’infermiera negligente e seccata, incapace, così presa dalle sue beghe personali, di pendersi cura di un vecchio come dovrebbe per lavoro e vocazione; è fermo quando affronta il teppistello che a muso duro vorrebbe farlo arretrare, ma non ci riesce perché trova davanti a sè un adulto. E’ gentile quando raccoglie una piccola prostituta dalla strada insegnandole che ci sono altri modi di chiedere e avere, che se molti ci hanno disprezzato non vuol dire che debbano farlo tutti (a questo servono le “esperienze correttive” in un gruppo di crescita); e quando incoraggia e sostiene i suoi allievi più sfiduciati, insegnando loro la fiducia. E’ tenero quando rimbocca le coperte a suo nonno ormai demente, forse non privo di peccati, e però suo nonno, un povero vecchio e probabilmente l’unico barlume di adultità che abbia mai conosciuto. E’ attento a osservare gli occhi di chi ha di fronte, ad ascoltare, a cogliere. Lui sa, lui conosce, perché lui è venuto su senza radici, epperò anche con una straordinaria sensibilità e profondità d’animo, capace di provare emozioni nobili ed esprimere quella cura necessaria, suo malgrado, a lottare per raddrizzarsi.

Le energie dell’adulto di questo film sono quelle che riscaldano il cuore e curano: questa è una traccia che potremmo cogliere.

Per difenderci e difendere il nostro mondo dallo sfacelo inevitabile e travolgente là fuori, l’unica via di salvezza è la cura: sviluppare energie genitoriali, assumerci la responsabilità di noi stessi, e delle cose che dipendono da noi, il nostro lavoro, l’espressione del nostro voto o dissenso politico, i progetti che abbiamo, la salute e le energie del nostro corpo. Scoprire cosa è giusto per noi, cosa è giusto fare e avere il coraggio e la disciplina di farlo, ogni giorno. Con amorevolezza, dedizione, trasporto. Con precisione, accuratezza. Coltivare bellezza, e difenderla a oltranza da qualunque minaccia, con aggressività, col sangue agli occhi e i denti di fuori se necessario: perché loro, i distruttori, non hanno pietà. Per questo la cura deve essere ferma.

Perché loro, i distruttori, non hanno pietà. Per questo la cura deve essere ferma.

Senza radici, senza punti di riferimento, senza palle, noi siamo la malattia di quest’epoca che i filosofi chiamano post-moderna: un concentrato di vacuità, superficialità abissale, senza scopo, se non l’auto-glorificazione (e quindi la glorificazione del nulla), senza sostanziale evoluzione. La cura è l’unica cura possibile, e coltivarla in un gruppo di Lavoro è fondamentale. Per farlo, bisogna smetterla di avere un atteggiamento “figlio”, un atteggiamento di pretesa, nell’attesa che qualcuno o qualcosa ci levi le castagne dal fuoco, prenda decisioni al posto nostro, si prenda cura di noi, ci dica cosa fare. Un atteggiamento de-responsabilizzante, che vede l’apice nell’attuale “Le autorità, la scienza lo dicono: dobbiamo fare così, perché gli esperti lo dicono“. Un genitore si assume la responsabilità di sè, non demanda ad alcuno i suoi diritti e doveri, e gli obblighi così anti-democratici, come quelli cui siamo costretti oggi contro natura, glieli devi motivare. Se non sono motivati, come quelli attuali, un vero genitore non può accettarli: non resta lì supino a vedersi spogliare e spogliare i suoi figli dei loro diritti. Egli protesta, dissente proprio perché ha a cuore se stesso, e i suoi figli. Questa è cura, l’anti-sfacelo. Va da sè che, manipolati in modo sopraffino come ogni figlio fragile finisce con l’essere, i genitori capaci di esserlo e di ragionare come tali sono pochissimi; così pochi oggi che, proprio per questo, lo sfacelo è una valanga inesorabile che ci porterà ancora più giù in questo burrone.

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