Esattamente un mese fa entravo nel mio 36° compleanno.
Mesi addietro avevo levato la mia data di nascita da Facebook per cui davvero in pochi lo sapevano e se ne sono ricordati. Il che mi è andato benissimo: è stata una scelta consapevole. Capitemi, non è snobismo il mio: è consapevole nausea verso gli atti superficiali. Non fa nulla, non avete bisogno di mostrarmi affetto in quel giorno lì, se ne provate, con un cuoricino su Facebook: l’affetto, la stima, quelli veri, li misuro in altre cose. In rispetto, per esempio, in gentilezza, in coerenza, in franchezza, nell’atto pratico, quando serve. Nel rispettare la parola data, nel dare seguito alle faccine e i like con azioni pratiche. Ecco, questo mi piace. Questo voglio.

Le faccine, i fiorellini… perdonatemi se appaio acida nel dirlo, ma non so che farmene.
E’ stato un compleanno strano. A inizio d’anno, quando il COVID era una notiziola curiosa che leggevo di sfuggita nella mia rassegna stampa di primo mattino, avevo progettato di passarlo all’estero, da sola. Non ho viaggiato molto negli ultimi dodici anni, e ci sono tanti posticini che mi piacerebbe visitare. Al principio avevo provato a coinvolgere qualche amica ma, come una sorta di atavica maledizione, da che sono nata quel giorno lì la gente ha sempre altro da fare: allora, mi son detta (un po’ stizzita per la verità), fanculo, parto da sola.
Dopo un’accurata selezione durata ben quattro settimane, avevo programmato tutto: partenza e durata, albergo, cose da vedere, cose da mangiare, budget ecc. Eppure al momento di prenotare il volo il dito ogni volta si bloccava. Ora, io non sono mai stata superstiziosa, ma un po’ strega sì; i sogni premonitori, la preveggenza in tante situazioni, per me sono stati la norma, e mai vissuti con atteggiamento mistico-spirituale, ma piuttosto come una sorta di facoltà genetica, una mia speciale sensibilità. Ebbene, sentivo, con quel mio sentire inspiegabile, con una saggezza interiore che viene da altrove, che quel dito sapeva qualcosa che io non sapevo. Che contrariamente al mio modo furioso e impulsivo di fare, quella volta dovevo aspettare. La mia vocina diceva “aspetta, Angy”. Tra febbraio e marzo mi è stato chiaro perché e ho ringraziato la mia vocina interiore, nonché la mia fiducia nell’ascoltarla.
Ebbene, è stato un compleanno perfetto, direi. Sono stata su Zoom con i miei migliori amici e compagni di via, e per il resto del tempo a leggere, godere dell’aria del mio terrazzo, pensare e non pensare. Un compleanno senza aspettative e distrazioni, e per certi versi pulito, denso e puro. Mi è piaciuto molto. Molto più dei compleanni baraonda in cui ci si doveva divertire o fare qualcosa di diverso a tutti i costi, e l’unica cosa ingombrante che sentivo erano sempre frustrazione, assenza, delusione.
L’ho sfruttato per fare il punto della situazione. A trentasei anni, sono una persona ancora lontana da quella che vorrei essere, ma molto più vicina ad esserlo rispetto a due anni fa. E non mi pare poco.

E ho moltissimo. Una casa, piena di luce, d’aria, piante, ora anche fiori. Enorme, libera, calda. Mi ha cullato come un abbraccio in questa quarantena e anche se all’inizio l’ho trascurata un po’, per rabbia e tristezza, con le settimane ho imparato a prendermene cura, anche per ringraziarla di quel che mi da, di come mi fa sentire a starci.
Ho un lavoro. Non molto stabile al momento, ma mi permette di vivere, ed è molto di più di quel che tanti altri hanno adesso, e ne sono profondamente grata. Non oso immaginare come sarebbe stato questo periodo diversamente.
Ho lucidità, centratura, ponderatezza e godo di una buona salute, il che per i tempi terroristici che corrono è davvero tutto dire.
Ho conquistato una certa franchezza e autenticità: è stato estremamente semplice in questo periodo stabilire una distanza dalle persone inautentiche, ipocrite, fragili per certi versi, ottuse per altri, e stringere maggiormente con quelle forti, di quella forza non muscolare, ma salde, lungimiranti, franche, dignitose. Ne vado fiera. Rido tra me, quando mi passa la nausea, per quei poverini che non hanno il coraggio di dirmi ciò che davvero pensano, che disapprovano quel che scrivo sui social, ma in silenzio, e so che per strada mi saluteranno col più grande e falso dei sorrisi.
Ho un’assistente che mi ha supportato nei momenti più caotici del lavoro, e con cui fare brainstorming: credetemi, una vera ricchezza.
Ho un trapano, un cacciavite, milioni di punte e viti e altri aggeggi con cui sfogare la mia abilità manuale in casa nei lavoretti di bricolage… e la soddisfazione di cavarmela da sola anche in questo.
Ho l’abbonamento a Netflix e Prime che mi consolano nei momenti di solitudine; una montagna di libri da leggere e pagine da scrivere per quelli restanti.
Ho non uno, ma addirittura due gruppi! Il gruppo di Lavoro di Hodos e quello di meditazione di Turi. Sono stati la mia ancora e la mia sveglia costante; un aiuto fondamentale per non perdere la bussola e mantenere un contatto col mondo, quello sano. E sapeste che belle sono le ragazze di meditazione: come sono motivate e ardenti di passione per il Lavoro. Non l’avevo previsto, nè dato per scontato all’inizio, ma ci sono, sincere e forti. Ogni volta che condividono un piccolo atto di assertività e di crescita, mi vengono i lucciconi agli occhi per la commozione, il mio cuore esulta, come quello di un genitore o un allenatore che vede il piccolo fare i suoi passi da solo nel mondo: hanno occhi belli, vivi. Mi ascoltano davvero, stanno imparando a non reagire all’osservazione dei propri fallimenti e delle proprie miserie con l’autocommiserazione ma col piglio “Ok, lavoriamoci”. Sono il mio orgoglio, la mia soddisfazione. Anche loro la mia sveglia: per guidarle, devo essere un esempio, devo saper testimoniare il Lavoro, e questo mi motiva moltissimo.

Ho una storia da raccontare, due editor bellissime che ci stanno lavorando con passione e attenzione, e un’amica che se n’è appassionata come la vera fan di una saga: la gioia di poter condividere il proprio mondo interiore e comprendere che, forse, s’è raccontato qualcosa di un pochino più ampio e più universale, una comunanza che avvicina spirito a spirito, è qualcosa di indescrivibile.
Ho radici e un progetto. Tempo fa confessai di sentirmi divisa, tra Puglia e Toscana e per molto tempo ho nutrito il desiderio di spostarmi. Mi dicevo, se vuoi crescere davvero devi trasferirti; come se qui non avessi possibilità.

Ma c’è una cosa che Gurdjieff diceva, e cioè che le condizioni in cui viviamo, qualunque esse siano (specie le peggiori), sono quelle ideali per il Lavoro… ammesso che ci si ricordi il Lavoro. In questo mio volermi trasferire c’era un semino di pigrizia, di volontà di restare figlia, e farmi svegliare, farmi dare rimandi, farmi cullare dall’atmosfera del Lavoro. Forse non c’è nulla di male in questo, non lo so… ma sta di fatto che proprio questo mese, che per me è sempre stato significativo, ho dovuto prendere una drastica decisione: o qui, o lì. Basta temporeggiare. Stop coi piagnistei, con le esitazioni. Prendi una decisione, mi son detta, e metti radici: è il momento. Traballare non fa bene a te, nè al gruppo e alle ragazze. Prendere decisioni è difficile, uccide tutte le ipotesi del ventaglio tranne una, è rischioso… ma esitare è più sfiancante. Esitare sempre è un non mettere mai radici, mai un focus su una cosa che sia una, fa disperdere enormi quantità di energie e notti insonni, non consente di fare progetti, di canalizzare risorse, di organizzare in modo intelligente spese, soldi, tempo… di avere stabilità, sviluppare affidabilità. Mettere un punto fermo nella propria vita aiuta a sviluppare fiducia.
Le condizioni in cui viviamo, qualunque esse siano (specie le peggiori), sono quelle ideali per il Lavoro… ammesso che ci si ricordi il Lavoro.
G.I. Gurdjieff
Così ho maturato la decisione di restare, mettere radici in Puglia, assumermi la responsabilità del mio Lavoro e del gruppo qui: ne ho parlato coi miei amici e con le ragazze, e sono stati tutti entusiasti. Così è nato un micro gruppo di Lavoro, che forse un giorno si chiamerà Hodos di Turi, e il progetto di far crescere una realtà quotidiana: un co-housing magari. Nel frattempo, mettiamo radici e soldi da parte, e man mano il progetto prenderà forma. Tutto ciò che mi serve è un genitore interiore che mi dia rimandi e sveglie da solo, e posso farlo anche qui.
Quindi ho la terra di Puglia, il sole, il mare, i sapori, i muretti a secco, i taralli, i ricordi, la cultura, la taranta e la pizzica, e tutte quelle cose attraverso cui Madre Natura mi nutre, mi fa sentire a casa.

Scommetto che a far la lista delle cose che non vanno e non abbiamo, siamo tutti bravi; ma alleniamoci a fare quella delle cose vanno e che abbiamo. Alle fortune che ci sono toccate, anche in questo periodo difficile per tutti. Per ogni problema, si troverà una soluzione, se ce n’è una, e il modo di conviverci se non ce n’è. Guardiamo davvero a quel che abbiamo, con gli occhi del bambino che le vede per la prima volta: non sono scontate. Non vanno date per scontate mai: nulla ci è dovuto per diritto di nascita, e nulla è garantito per sempre. Arriva uno tsunami, una crisi economica, una guerra e puoi perdere tutto da un momento all’altro, tutti gli oggetti e i titoli, e i rituali effimeri del weekend, degli ozi scontati, delle vacanze comandate. Puoi perdere tutto tranne te stesso, e le radici, se ne hai sviluppate: tutto ciò che abbiamo è un dono, rendiamone grazie al mondo, facendo sempre del nostro meglio affinché esso possa essere un posto sempre migliore. E’ molto poco, se ci pensate, quel che ci viene chiesto in cambio: un minimo di impegno ad essere migliori, e a fare il possibile per essere un esempio anche per gli altri. Di cosa possiamo davvero lamentarci?
Un inventario delle cose che abbiamo. Mi piace.
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Un inventario della gratitudine, sì 😊
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