L’ho capito molti mesi fa. Vivevo già da sola, nella casa che ho scelto per me un anno e mezzo fa. Abituata all’ascolto e all’osservazione, l’ho sentito.
Ascolto, il quinto e per me più facile dei precetti. Nel silenzio, nella povertà e nell’umiltà, recita il precetto.
Non è analisi, non è rimuginio, e nemmeno spaccare il capello ossessivamente in quattro. É puro sguardo; è restare assorti con lo sguardo del bimbo che non sa, non ha aspettative, non vuole interpretare, ma coglie per sua natura tutto, perché la sua natura è spugna, carta assorbente, fonografo dei qualunque accidenti del mondo intorno. Ecco, quello sguardo è uno dei miei pochi ma fondamentali talenti. E per questo mi è facile cogliere le cose, specie quelle che non vorrei, se dipendesse dalla mia coscienza.
Quando ero adolescente facevo spesso un sogno. Era così vivido e ricorrente, che a volte lo facevo anche ad occhi aperti. Sognavo di volare, ma il mio non era un volo d’uccello; era un volo di drago. Ad un certo punto, ogni volta, vomitavo lava: la pressione del fuoco che bruciava dentro era così opprimente che non potevo far a meno di farla esplodere fuori. E, per citare Bradbury, appiccare il fuoco era una gioia. Avvertivo la contrazione del diaframma che si spremeva fino all’osso per vomitare fino all’ultima stilla di fuoco e, soprattutto, godevo di una goduria immensa nel vedere fuoco e cenere tutt’intorno a me. Ma bruciare tutto non mi bastava, dovevo anche squartare se possibile. Così, con gli artigli sguainati, affondavo e tranciavo di netto, e solo allora potevo dirmi soddisfatta.
Perciò risentirlo è stato da un lato una sorpresa, e dall’altro uno sgomento. Da adolescente i giorni del drago mi salvavano dalla paura e l’angoscia, mi permettevano di arrivare indenne al giorno dopo. Non ho mai calcolato a quale costo; ciò che contava allora era sopravvivere.
Adesso, i giorni del drago sono cambiati. Corrodono; la lava comincia ad ardere da dentro. Mi alzo e il drago si sveglia con me. Ogni singolo giorno, costante, nel sottofondo di una risata, di un silenzio, di ogni singolo gesto. Se non sto attenta, brucia qualunque cosa a tiro: non riuscivo a capire perchè, pur soffrendola, scegliessi spesso la solitudine. Ora mi è più chiaro.
Alcuni giorni fa durante uno sfogo ho urlato, e in un lampo mi sono vista, da lucida, vomitare la lava del drago. Sapevo di averne ancora a litri dentro, ma d’un tratto mi ha nauseato. Mi ha stancato.
Il drago è stanco, eppure ancora non molla la presa. Suppongo sia perché teme di morire, e morendo di perdere qualcosa. Le sue ragioni. La sua sete di giustizia mai paga. Dopo tutto, anche se terribile, la sua forza è indiscutibile. É inarrestabile, infaticabile, spietato e risoluto come niente altro al mondo quando si attiva. Ha solo questo piccolo difetto di distruggere ogni cosa bella intorno.
Mi chiedo, quando questa rabbia avrà fine, cosa succederà. Se il drago si trasformerà, come nella tradizione cinese, in un fortuna-drago, di quelli buoni, che non bruciano nulla se non le cose storte per davvero, e solo perchè cresca qualcosa di sano al loro posto.
Ieri era un giorno del drago. Con gli anni sono diventata più brava a dissimularlo, basta non avere nessuno tra i piedi a farti prediche. Col lockdown è facilissimo. Però non mi è riuscito troppo bene; un orecchio acuto sa cogliere anche in un sorriso il sottofondo di rancore mal sopito, e quell’orecchio ci sente molto bene. Non mi ha fatto odiose prediche, ma con dolcezza infinita ha sorpreso il drago, e l’ha fatto sorridere. Non lo so se è l’inizio di una fine o solo un breve intervallo tra una distruzione e l’altra. Sta di fatto che oggi i lapilli sono spenti, e anche se il cielo è grigio, continua a sorridere.
Crescere è semplice solo quando hai capito. Per il resto del tempo, è una nebbia fitta di cose insulse e illusorie. Ma ho fede e persevero; un giorno riuscirò a farlo senza squartare niente e nessuno.