La pazienza

Ci risiamo. Dopo quasi dieci anni, un gatto è rientrato nella mia vita.

Quell’altro non era mio a pieno titolo, e per quanto fosse adorabile, trovava anche i modi di farsi detestare.

Il fatto è che una grossa parte di me si è sostanzialmente stufata di vivere da sola, e la soluzione più a buon mercato che abbia trovato è questa.

Così mi sono messa su Facebook, e iscritta al primo gruppo “Gatti adozione…” blablabla che ho trovato. Ce n’erano a bizzeffe di cosi pelosi e batuffolosi, con cuoricini, like, condivisioni: neanche il tempo di mettere l’annuncio e già erano dati via. “Cavoli” mi son detta, “Vanno via come il pane”.

Avevo subito notato lui, piccolo, triste, bruttino in confronto agli altri, e con una faccia depressa che non eccitava l’utenza media. Non lo cagava nessuno. E subito mi son detta, “Se gatto deve essere, che sia lui!”.

Pepito su Facebook. Non è il gatto più depresso che abbiate mai visto?

Così, dopo qualche giorno, vedendo che l’annuncio era ancora lì, chiedo info.

“Ora ti invio il questionario!” mi è stato risposto.

Questionario? Ho pensato, già pentendomi del messaggio.

Sì signori: sette pagine di Word di questionario dove ti si chiede di contarti anche i peli del deretano, che quasi quasi al posto di un gatto mi pareva più semplice adottare un figliolo. Più di una delle suddette domande mi ha fatto alzare gli occhi al cielo, e siccome nell’introduzione si pregava la massima sincerità, io massimamente sinceramente alla domanda “Sareste disposti a ricevere visite periodiche per controllare il gatto… ecc?” ho risposto:

  • Francamente no.

Ero lì lì per dire “Sentite, tenetevelo voi”, quando, al mio inviare le risposte mi hanno ulteriormente basita con un “Grazie per la franchezza con cui hai risposto. Ora sarebbe necessario che venga una persona a svolgere un’ispezione per controllare che quanto hai detto nel questionario corrisponde al vero…”.

Credetemi, non ci potevo credere. Ho riletto il messaggio tipo quattro volte di seguito mentre la parte allarmata di me, quella che non tollera rotture di attributi e possibilmente vorrebbe tenere il genere umano distante a qualche triliardo di metri cubi da me, era lì pronta col bazooka e un “Mandali a fanxxlo adesso e per direttissima. Non solo gli vuoi levare una rogna, a tuo rischio e pericolo, rompono pure il caxxo!”.

E’ una parte di me soavemente diretta e che non bada a spese di turpiloquio come avrete notato. La tengo a guinzaglio corto, il più delle volte, ma da un anno in qua ho dovuto allungarlo di necessità.

Sicché, non ho risposto proprio.

Qualche giorno dopo mi chiama una mia compaesana che per fortuna conoscevo. “Angela, ah! Ma sei tu?”. Ridendo entrambe della grossa sulla questione, prendiamo accordi per la cosiddetta “ispezione”.

Mi viene l’ansia. “Ommadonna, e sarà abbastanza pulito, che quelli i gatti mangiucchiano tutto! E i plaid sul divano… resisteranno? E la porta di qui la dovrò tenere chiusa…?”. Già pulire normalmente i due piani di casa mia è un impresa di pulizie a tempo pieno, figuriamoci pulirla per accogliere sua maestà il trovatello dietro ispezione preventiva.

Alla fine di questo strazio… “Ma casa tua è perfetta! Magari, finché è piccolino, non lo fare uscire sul balcone…”.

Caxxo il balcone! Il giorno dopo ero a Leroy Merlin a comprare centinaia di metri di quelle finte siepi a rete bruttissime ma funzionali, perché la ringhiera da sola è ancora più brutta.

Passato dunque l’esame dell’ispezione, finalmente si va a prendere sua maestà.

“Ci incontriamo venerdì”.

Era tutto pronto: la lettiera chiusa con l’entrata basculante, il filtro, la paletta, la sabbietta agglomerante antipuzza, la cuccia calda deluxe col tettuccio e la pallina e il cuscino morbido, le ciotole per l’acqua e i croccantini col serbatoio che “Non sia mai ha fame e sete e io non ci sono/non vedo/non me ne accorgo”, la cuccia 2 – contenitore col buco da Kallax Ikea col plaid apposta per lui, tre varietà di croccantini per mici piccoli “Che non sappiamo se gli piace l’anitra in salmì o il pollo o il salmone selvaggio dell’alaska”… insomma, tutto. Pure la pazienza. Dio solo sa di quanti barili di pazienza io necessiti.

Lo vado a prendere. La signora lo trasloca da un trasportino (rigido) a quello mio (morbido deluxe), e lo deposito sul sedile passeggero. Per tutto il tempo mi guarda con gli occhi a palla sbarrati, come se lo stessi portando al mattatoio. Entrati a casa, vado in una stanza di giù, apro… e quello si precipita fuori e si ficca sotto al letto.

E rimane sotto al letto per ore, immobile.

Non è stato il migliore degli inizi, e, un po’ delusa un po’ irritata, chiudo la porta e vado di là. Nei successivi tre giorni ho modo di considerare che sua maestà mangia, beve ed espleta regolarmente le funzioni corporali, a patto che io non ci sia. E mi dico “In effetti, tutto sommato, l’ho trovato proprio a mia immagine e somiglianza”. Stabilito questo patto di non belligeranza e non rotture di reciproci attributi, per abituarlo alla mia presenza gli gioco uno scherzetto: lo attiro fuori dalla stanza con una porzione di cibo di scatoletta che, lui che non è scemo, apprezza alquanto, sgattaiolo di là e lo chiudo fuori dalla stanza.

Lui a quel punto si vede spacciato: nel panico totale davanti a me, che considera poco meno di un Godzilla, scappa terrorizzato senza sapere più dove nascondersi. Potevo sentire l’ansito del disperato e il battito da infarto, giuro. Riesce a infilarsi sotto il Lack porta TV, ma è alquanto scomodo in confronto al letto. Così ne trova uno migliore: le sedie infilate sotto al tavolo. Sua maestà è un genio della sparizione, non c’è che dire. Lì se ne sta quatto per ore, e siccome non mi vede deduce, giustamente, che nemmeno io lo veda.

Sono dieci giorni che il povero trovatello si nasconde per casa. Non lo posso ancora toccare, perché scappa come avessi la peste; del resto è un gatto nato in era Covid, non si può pretendere che sia espansivo.

La cosa non mi disturba eccessivamente. Mi secca un po’. Voglio dire, l’ho preso apposta per… già perché l’ho preso? Me lo chiedo spesso.

Per prendermi cura di qualcuno o qualcosa? Avevo già una casa che assorbiva le mie cure, le piante; e ci sono anche io, poi, che non sono dolce di sale in fatto di cure. Inoltre un mio carissimo amico (che ovviamente carissimo non lo è più) ha commentato la notizia con un “Sicura che ce la fai? No, perché già tu non mi sembri tanto brava con te stessa, figuriamoci con un gatto…”. Per fortuna mi era avanzato un vaffaxxxx, quindi non mi è costato proprio nulla regalarglielo gratis.

Pepito nella cuccia deluxe. Chiamatelo fesso…

Per non sentire troppo silenzio? Il silenzio è assordante, sì. Lo è da tre anni. Non sopporto certi giorni di non sentire la mia voce, qualcuno che mi chiami per nome. Allora, parlo da sola. Lo faccio fin da quando ero piccola. Ora ho una scusa sana di mente per parlare da sola: voglio dire, anche se mi rivolgo a lui, lo so benissimo che non capisce una parola. Serve a me. Parlo con me.

Per avere un daffare che mi eviti la noia, il succitato silenzio, il non sentire il vuoto, le spiacevolezze della mia vita e delle parti di me da guinzaglio corto?

Per avere affetto, calore, una presenza vivente che mi dia qualcosa?

Credo un po’ tutte le cose insieme. Non sono scema, lo so che è una patetica compensazione affettiva. Ma intanto lui mangia a mie spese evitando di finire sotto una macchina, e io appago nel modo meno dannoso possibile due o tre bisogni di vitale importanza, evitandomi una depressione o un cancro. Abbiamo un reciproco vantaggio direi.

E credo che imparerò molto. Per esempio la pazienza. Tutto e subito non è possibile, e per una volta nella vita devo veramente farci i conti. Di solito batto i piedi e strepito senza ottenere un bel nulla, oppure ottengo esattamente tutto ciò che voglio: la legge del despota. Chi può mai avere a che fare con un despota? Solo un generoso cavalier servente, che ti regalerebbe la luna pur di tenerti contenta, salvo poi beccarsi indietro il tuo ingrato disprezzo; tutti gli altri girerebbero al largo.

Che poi pazienza viene dal latino patior, soffrire: cioè, pure se non strepiti e batti i piedi, soffri lo stesso. Ma in silenzio. Una parte di me non è affatto d’accordo con questa cosa, ve lo dico; ma per niente proprio. Mi vedo costretta ad educarla, anche perché finora non ha sortito grandiosi risultati sociali. Il gatto di certo non le permetterà di fare il cavolo che vuole, come suo solito. E questo mi piace, lo confesso.

Magari Pepito mi insegnerà la via di mezzo per la santità, o la sanità, chi lo sa. Ah già: si chiama Pepito.

Il nome, come la faccia, non è entusiasmante. Ma quel suo tremar come una foglia solo a vedermi fa tenerezza. Rido della grossa il più delle volte; e devo trattenermi dall’allungare la mano. Devo aspettare i suoi tempi e le sue necessità. Mi ricorda tanto la preghiera della Gestalt, anche se applicarla a un gatto è bestemmia: io non sono qui per soddisfare i tuoi bisogni, tu non sei qui per soddisfare i miei bisogni; se ci incontreremo sarà bellissimo, altrimenti non ci sarà stato niente da fare.

Pepito è venuto a vedere se ero viva, sul divano, ma solo perchè doveva raggiungere la cuccia 1 indenne da Godzilla…

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.