Una volta ho letto una storiella zen. Non la ricordo benissimo, ma faceva più o meno così: c’è questo re, ricchissimo e potentissimo, che non avendo grandi preoccupazioni, si preoccupa di chiedere ai suoi saggi di scrivergli su un pezzo di carta un messaggio, un messaggio breve abbastanza da poter essere custodito nel suo anello e potente abbastanza da confortarlo nel momento più disperato.
I suoi saggi non si rivelano abbastanza saggi copywriters ante litteram; allora un mistico di passaggio si offre di scrivergli il messaggio, raccomandando di leggerlo solo nel momento di massima disperazione, quando ogni altra via d’uscita sarebbe stata preclusa.
Accade qualche tempo dopo che al culmine del suo potere il re venga tradito. I suoi avversari invadono la reggia, fanno fuori tutti, amici e parenti, tutta la corte. Lui riesce a scappare per il rotto della cuffia sul suo cavallo, ma di notte, nella foresta, si ritrova braccato e circondato. Supera una cortina di cespugli e si ritrova sull’orlo di un precipizio: alle spalle incalzano i suoi nemici, di fronte ha una morte certa giù dal dirupo.
Allora si ferma, scende dal cavallo. Improvvisamente si ricorda del messaggio nel suo anello, e rendendosi conto di essere nel momento più disperato e senza via d’uscita, prossimo alla morte, decide di leggerlo. Il messaggio ha il potere immediato di calmarlo, ed egli si ritrova a pregare in pace con se stesso e il mondo ad attendere la morte.
A un certo punto si accorge che c’è troppo silenzio, e sta pregando da troppo tempo: i suoi nemici sono passati oltre la cortina di siepi, e non l’hanno scorto. Quindi ringrazia la sua buona stella e risale in groppa al cavallo. Si rifugia in esilio, dove passa gli anni a risalire la china. Lavorando di buona lena, si rifà degli amici, riesce a rifare fortuna, e i suoi sostenitori tornano a sostenerlo come legittimo re del suo regno. Il suo potere torna a crescere a tal punto che i suoi seguaci si ribellano al nuovo governo e lo rovesciano, insediandolo di nuovo sul trono, più potente e amato che mai.
Durante la parata trionfale del suo insediamento, nota nella folla il mistico; quindi scende da cavallo deciso a ringraziarlo per quelle parole che gli avevano dato conforto in un momento terribile, e che in cuor suo potevano addirittura aver chiamato un destino. Ma il mistico gli sorride e gli chiede se ha ancora con sè il messaggio nell’anello. Il re risponde di sì, e allora il mistico gli suggerisce di rileggerlo adesso.
Il re apre il suo anello e rilegge il messaggio. Quindi china il capo, sorride anche lui.
Il messaggio dice “Tutto passa”.
Quando sei giovane non ci pensi. Non lo credi, che tutto scorre e, come dice Eraclito, non è possibile bagnarsi due volte nella stessa acqua. Sei sulla vetta dell’Everest, ti senti invincibile, e non ci pensi minimamente che non durerà, che il capitombolo da lassù sarà ripido e duro; poi ti ritrovi all’inferno, e niente riesce a distoglierti dal pensiero che tutto è perduto e non riuscirai mai più a risollevarti.
Non è vero niente, naturalmente, nè in un senso nè nell’altro. Eppure nel mezzo ci credi. Poi cresci, fai un po’ di esperienze, di inferni ed Everest, e cominci a familiarizzare col concetto di relatività. Non che questo voglia dire che la vita fa di te un Einstein, ma se non altro cominci ad apprezzare la dimensione sobria delle cose.
Le vie di mezzo. Lungi dall’essere patetiche consolazioni compensatorie, diventano un modo adulto e saggio di apprezzare le piccole cose, le sfumature, la quiete, i silenzi e la solitudine.
Cominci a capire che col culo per terra non ci resterai per sempre, così come non ha senso esultare in modo eccessivo se ti capita di salire sulla cresta dell’onda. Perché in entrambi i casi tutto passerà, e le due cose poco hanno a che fare col tuo valore personale. Ha tutto a che fare con la casualità e fatalità degli eventi. Puoi essere un re o l’ultimo degli ultimi all’interno della stessa vita, e questo non vuol dire che tu sia il migliore di tutti o un reietto deprecabile. Vuol dire solo che la vita fa così, è un’onda che ti travolge e a volte ti sconvolge; il massimo che puoi fare è pregare e aspettare che il peggio o il meglio passino senza sbatterti troppo come un polpo sullo scoglio.
Certo, ci sono vite e situazioni in cui quest’onda può risultare più evidente che altrove. E allora faremmo meglio a scriverci quelle due parole, a custodirle nell’anello della nostra anima, e a ricordarci che non bisogna aver paura, perché tutto passa.
E se tutto passa, l’unica cosa che conta è a quale scopo dedichiamo le nostre azioni, al servizio di che cosa ci facciamo strumento.
Non per la gloria, non per i soldi, il potere, la notorietà o la vendetta: tutto passa. Idiota, sembra sussurrare divertita la vita ad ogni passo, lo vuoi capire che tutto passa? Tutto. La bellezza, l’eros, la giovinezza, gli oggetti, il successo, gli affetti. Tutto passa. Non resterà nemmeno la polvere delle nostre ossa, trascorso un ragionevole lasso di tempo. Allora perché si vive? Io dico: per onorare la vita, in questo flusso impazzito di gioie e dolori, di vuoti e pieni, facendoci strumento di qualcosa che non siamo noi ma durerà infinitamente più di noi. Qualcosa che sia per il bene, per il meglio, per la salvezza di ciò che è buono e merita di essere preservato. Qualcosa per cui valga la pena lottare.
Oggi mi hanno detto “Sapresti vendere ghiaccio agli Eschimesi. Sei forte e determinata”. Non mi interessa vendere ghiaccio, e quanto alla forza, se i miei nemici sapessero quanto poco me la senta addosso davvero credo sarebbero molto meno miei nemici; non sono forte per me. Perciò ho risposto “Non posso farne a meno. Devo fare delle cose”.
Tutto passa. Anche questo vuoto, questo dolore sordo e lancinante passeranno. Ciò che conta è che quelle cose vengano fatte, non per me, non per la gloria, ma perché è giusto che siano fatte. Io non conto un cazzo, passerò come voi e come tutto il resto; ma quelle cose… quelle cose valgono la pena, e per quelle cose mi sforzerò di ricordarmi che tutto, ma proprio tutto passa.